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Bere Naturale, battere la paura e sconfiggere la psicosi? A Roma il VAN ci ha provato e ci è riuscito

van

Tra eventi che vengono cancellati e/o rinviati, e psicosi (o sana preoccupazione) che costringe molti a disertare manifestazioni di ogni ordine e grado, abbiamo sfidato il Coronavirus insieme ai produttori del VAN. La rassegna primaverile della fiera dei Vignaioli Artigiani Naturali tra volti noti (ma con nuove etichette) e new entries ha riservato agli appassionati romani di vini naturali una due giorni di assaggi di grande qualità. Vi raccontiamo quali sono stati i nostri migliori assaggi.

Dopo esserci andati nell’edizione autunnale e aver scoperto numerose chicche degne di nota, non potevamo esimerci dal tornare alla rassegna primaverile del VAN, il salone di Vignaioli Artigiani Naturali (ve ne avevamo parlato qui), ormai tra i tantissimi eventi proposti dal panorama capitolino di eno-appuntamenti sempre più punto di riferimento per gli amanti del vino naturale. Cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni il salone, ospitato ancora una volta dalla Città dell’Altra Economia a Testaccio, ha sempre riservato interessanti scoperte e ha mantenuto le promesse anche in questa ultima edizione che a causa del timore del Coronavirus è sembrata, almeno nelle prime fasi di sabato, prevedibilmente meno affollata del solito. Fortunatamente la paura non ha trionfato a lungo e gli appassionati sono accorsi in forze con il passare delle ore.

I 42 produttori presenti sabato 29 febbraio e domenica 1 marzo hanno portato in degustazione oltre 200 vini e la qualità media degli assaggi è stata anche questa volta molto elevata. Ovviamente il gran numero di etichette in degustazione ha reso impossibile l’assaggio di tutti i vini. Ciò nonostante, tra le nuove etichette proposte da produttori spesso presenti al salone testaccino e new entries della rassegna le soddisfazioni non sono mancate. Eccovi di seguito alcuni tra gli assaggi che ci hanno colpito maggiormente.

Terra di Briganti

L’Azienda si trova a Casalduni (BN) nella parte interna della Campania, in un triangolo di terra a ridosso del Massiccio del Taburno, teatro degli scontri tra partigiani borbonici e truppe savoiarde e delle gesta di leggendari briganti. Qui due fratelli Toni e Romeo De Cicco coltivano solo vitigni autoctoni come Aglianico, Sciascinoso, Falanghina, Fiano e Coda di Volpe. Proprio con una di queste tre uve bianche, è realizzato il vino che ci ha impressionato di più tra quelli presentati in fiera dal’azienda: il Nato Nudo, un Fiano di grande sapidità, freschezza e sontuosità. Avvolgente e tagliente allo stesso tempo con i suoi rimandi di camomilla, pesca e cedro incorniciati da una nota iodata ed esaltati in bocca da una chiusura leggermente salina e piccante. Vino di straordinaria beva ma anche grande precisione.

Azienda Agricola Diana

L’Azienda Agricola Diana si trova nel comune di Saracena in provincia di Cosenza, ai piedi del Massiccio del Pollino. Qui, Biagio Diana, che al VAN è presente spesso, coltiva in regime di agricoltura biologica circa 20 ettari di terra di cui poco più di 1 ettaro è dedicato alla vite (il resto ospita uliveti da cui l’azienda ricava un olio extravergine superlativo). Le varietà che la fanno da padrone nel vigneto sono il Moscatello di Saracena, la Malvasia bianca e la Guarnaccia bianca da cui si ricava il Moscato di Saracena, antico vino da dessert e vero e proprio gioiello enologico della Calabria prodotto da pochissime aziende e per il quale Diana è presidio Slow Food.

Oro e ambra si mescolano in un calice intensamente profumato di resina, fiori di tiglio e zagara, fichi secchi, miele di castagno e papaya matura. Elegante e fine in bocca è un voluttuoso abbraccio tra sensazioni dolci e fruttate e una freschezza importante che anima un sorso dalla persistenza quasi interminabile. La chiusura di mandorle amare e sale rendono il finale intrigante e prolungano il godimento per il palato.

Con le uve di Malvasia bianca (60%) e Guarnaccia bianca(40%), quest’anno Biagio ha realizzato la prima annata di Mileo bianco (il rosso è ottenuto da uve Lacrima del Pollino in purezza). Giallo paglierino tendente all’oro. Profumo intenso di biancospino, pesca bianca, fiori di agrumi e scorza di cedro. In bocca l’aromaticità dei vitigni si attenua ma non scompare del tutto. Il sorso è piacevolmente centrato sul frutto e anche se l’alcol c’è e si fa sentire con il suo volume importante (14%) non pregiudica la facilità di beva di un vino dotato di buona precisione. Non male per essere frutto di un primo esperimento.

Terra della Luna

Terra della Luna è un’azienda agricola nata nel 2006 a Ortonovo, o per meglio dire a Luni visto che da poco più di un anno il comune diffuso che ospita i resti dell’antica colonia romana di Luna (in origine porto etrusco e greco) ha cambiato nome. In queste verdeggianti colline dalla millenaria tradizione vitivinicola (nel suo Naturalis historia Plinio affermava che “il vino di Luna ha la palma tra quelli dell’Etruria”), in cui l’estremo lembo della Riviera di Levante, si abbraccia con la Toscana settentrionale tra le Alpi Apuane e il mar Ligure Alessandro Vignali coltiva le sue uve su terreni appartenuti un tempo alla famiglia carrarese Fabbricotti, antichi proprietari della Tenuta di Marinella, che vi realizzava vini pregiati già due secoli prima come il “Bianc Bon”. La produzione si aggira intorno alle 10.000 bottiglie l’anno, divise in svariate etichette, i bianchi da uve Vermentino e il rosato e i rossi da Shiraz e Grenache. In fiera Alessandro ha sfoderato una batteria di tutto rispetto con vermentini di diverse annate per un totale di nove vini in degustazione. Senza stare a girarci intorno, i vini di Terra della Luna sono uno più buono dell’altro, tutti interpreti fedeli di un territorio vocato e delle rispettive annate. Quello che ci ha letteralmente rapiti è il Lun’Antica 2014 Liguria di Levante IGT, un Vermentino rifermentato in bottiglia, con un perlage fine e delicato, quasi impercettibile, dovuto alla pressione inferiore a un atmosfera, realizzato con una base che fa macerazione sulle bucce. Giallo oro brillante con una lievissima velatura, ha un naso intenso di note minerali che richiamano gli idrocarburi e vanno dal cerino spento al kerosene, accompagnate da sfumature salmastre (salsedine, focaccia alle olive) e di frutta gialla matura, il tutto incorniciato da delicati sbuffi di salvia e rosmarino. In bocca è intenso e pieno, dotato di una spiccata freschezza e di una bella vena sapida che assieme alla bollicina sottile rendono la beva quasi compulsiva.

Poggio Bbaranèllo

Segnatevi questo nome perché ne sentirete parlare ancora e sempre di più. Poggio Bbaranèllo è il marchio scelto da Silvia Pragliola per i vini dell’Azienda Agricola Le Poggere, giovane realtà a conduzione familiare in quel di Montefiascone. Nei quattro ettari e mezzo di vigneto trovano spazio solo varietà autoctone, su tutte Trebbiano Toscano ma anche Rossetto (Trebbiano Giallo) e Malvasia. In fiera Silvia e la sua compagna Lisa hanno portato il frutto della prima uscita ufficiale. A noi è piaciuto molto il 507, un rifermentato in bottiglia metodo ancestrale a base Trebbiano Toscano. Bolla gradevole, piacevolmente sapida e moderatamente fresca (probabilmente la vendemmia ritardata non ha consentito di mantenere alta l’acidità delle uve) che profuma di frutta tropicale e agrumi. Con la stessa massa di Trebbiano Toscano Silvia e Lisa realizzano il T1, una versione ferma molto interessante e polputa: un vino estremamente godibile, dotato di struttura, sapidità e grande personalità.

Podere Cipolla

Denny Bini è, assieme a Vittorio Graziano e Vanni Nizzoli, uno tra i più grandi interpreti della rinascita del Lambrusco, ma contemporaneamente riesce a fare grandi cose anche con altri vitigni. Realizzare un bianco fermo da Malvasia di Candia aromatica in purezza che non sia stucchevole non è mica opera semplice eppure Denny c’è riuscito con il suo Cipolla N°5, un bianco dal carattere schietto, fresco e aromatico che nasce da una macerazione sulle bucce per 4 giorni e un affinamento in acciaio per almeno 11 mesi. All’olfatto sventaglia intense sensazioni aromatiche di fiori di zagara, rosa tea, kumquat, litchi e cenni di miele d’acacia. In bocca è secco, dritto e scorrevole, dell’invadenza del vitigno aromatico non vi è traccia fatta eccezione per i piacevoli ricordi di frutti dotati di vibrante freschezza e per il piacevole accento tannico legato alla macerazione. Chapeau Denny!

La Ferme des Sept Lunes

Bogy è un piccolo comune della Valle del Rodano situato sulle alture dell’Ardèche tra Vienne e Valence. Qui, in questo microscopico borgo che conta 349 anime sorge La Ferme des Sept Lunes, azienda a totale conduzione biodinamica, che si estende su sei ettari dedicati quasi interamente alle varietà tipiche della zona: Syrah, Roussanne, Marsanne.

Raccolta manuale di sole uve perfettamente sane e solo vinificazioni in vasche di cemento, senza aggiunta né di lieviti né di enzimi. Una tradizione quella di fare il vino che risale ai nonni di Jean Delobre, proprietario dell’azienda, che assieme a Jacques Maurice è una delle due anime di La Ferme des Sept Lunes.

Tutti i vini mostrano grande freschezza e purezza, i bianchi hanno tutti consistenza e tensione, i rossi sono dotati di profondità, aromi e una succosità fantastica, ma il vino che più di ogni altro ci ha emozionato è figlio del caso: il Lunatik Lady Land 2015 è frutto della formazione fortuita della voile su una vecchia botte contenente un assemblaggio di Roussanne e Marsanne in egual misura destinato alla produzione di un vino della AC Saint-Joseh.

Dopo una sosta di un anno in una botte un po’ scolma ne  è venuto fuori un vino troppo ossidato per rispettare i parametri del disciplinare e dopo un ulteriore passaggio in acciaio è stato imbottigliato declassificato a Vin de France (l’equivalente del nostro Vino da tavola) pur essendo un capolavoro di vino in stile ossidativo. Come un Marsala pre-british per intenderci. Oro brillante con riflessi leggermente ramati. Il naso intenso e ricco esprime in sequenza note di mallo di noce, nespole stramature, camomilla essiccata, cera d’api e smalto. In bocca freschezza e sapidità bilanciano l’apporto dell’alcol (14%) alleggerendo la beva che altrimenti risulterebbe appesantita dalle dolcezze della frutta ossidata. Chiude lasciando un piacevole ricordo di frutta secca e sale. Bevuta di grande complessità e persistenza interminabile.

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