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Bianco o Rosso: storia e abbinamenti del Roero

roero

Tra le Langhe puntellate di antichi castelli, un vino bianco e rosso si è fatto largo per la sua piacevolezza al bicchiere: il Roero.

Quando si parla di Roero la mente corre subito all’Arneis, il bianco che è diventato un po’ il “principe” di questo territorio, grazie anche alla bravura di qualche vignaiolo che negli anni lo ha fatto crescere e conoscere a livello commerciale. Ma in questa zona del Piemonte, incuneata tra le Langhe e il Monferrato, si produce anche un altro vino, intrigante e piacevole, il Roero rosso, figlio anche lui del nobile vitigno Nebbiolo, che il Consorzio di Tutela sta facendo conoscere in questi mesi agli appassionati con una serie di tappe in tutta Italia.

L’area nella quale vengono coltivati i due vitigni è una vera e propria perla di storia e natura, ancora poco conosciuta ma che vale senz’altro un viaggio, alla scoperta di città arroccate su piccole colline e impreziosite da capolavori barocchi e di percorsi per trekking e cicloturismo che si snodano tra boschi e paesaggi dolcemente disegnati da vigneti e frutteti e “sorvegliati” da decine di castelli.

La storia

Il nome Roero deriva infatti da un’antica famiglia aristocratica, originaria di Asti, che nei secoli allargò il proprio dominio su altre zone del Piemonte arrivando ad espandere la propria attività commerciale fino in Francia, Svizzera e Germania. Quando poi il casato si suddivise in vari rami, ciascuno a capo di una porzione di territorio, ognuno di questi costruì un palazzo, una rocca o un castello, gareggiando in magnificenza con tutti gli altri. Così oggi abbiamo nell’arco di poche decine di chilometri preziose testimonianze di architettura, molte delle quali visitabili.

E su queste colline, principalmente costituite da terreni sabbiosi, le vigne hanno contrassegnato il paesaggio da sempre, fin dai tempi dei primi abitanti, i liguri, nel VII-VI secolo avanti Cristo, arrivando poi a un notevole sviluppo commerciale con l’impero romano.

La coltivazione dell’Arneis

Per le prime testimonianze di coltivazione dell’Arneis, il Roero bianco, bisogna arrivare al XV secolo, quando però non era ancora quello che conosciamo oggi: si trattava di un vino dolce, comunque molto apprezzato e considerato di gran pregio. Negli anni ’70 del secolo scorso la svolta che lo ha fatto conoscere a livello nazionale: come successo ad altri vini (pensiamo al Sagrantino) inizia ad essere vinificato nella versione secca, acquistando piano piano note e caratteristiche che conosciamo oggi, con profumi di erba di campo e frutta, fresco e minerale al palato, adatto come aperitivo, ad accompagnare crudi di pesce e fritti, specialmente nella sua versione spumantizzata.

Ma il Roero bianco Docg stupisce anche per la sua capacità di invecchiamento: il Roero Docg Arneis 2015 Pace Giuan da Pas, (40 euro) è uno dei pochissimi bianchi che viene messo in commercio dopo dieci anni e che stupisce per la sua integrità, con una bella sapidità, note minerali e di pietra focaia che stuzzicano il palato e una persistenza in bocca lunghissima e piacevole. Ideale abbinato a un arrosto di maiale, salsa tonnata e fior di cappero è un vino sicuramente da cercare e acquistare in enoteca.

Roero rosso Docg

Diversa fortuna ha avuto invece il Roero rosso Docg, che pure è figlio di uno dei più importanti vitigni autoctoni del Piemonte e che vanta le sue prime testimonianze già nel Trecento. Stretto però tra i suoi “fratelli” più famosi delle Langhe e del Monferrato, ha fatto un po’ fatica a farsi conoscere, pur avendo una sua personalità decisa, forte, che lo sostiene quando deve accompagnarsi ai piatti saporiti di questa zona, dai Tajarin conditi con ragù di carne, funghi e tartufi, ai brasati, ai formaggi, di cui il territorio è ricchissimo, fino alla salsiccia di Brà, un’autentica delizia prodotta nella vicinissima cittadina del cuneese: un insaccato che contiene un 70% di carne magra di vitello macinata finissima e un 30% di pancetta di maiale.

Vino dal colore rosso rubino brillante, quando si avvicina il naso al bicchiere si sentono note di prugna, ciliegia e lampone, insieme a sfumature di liquirizia e tabacco dolce, con un sorso gradevole, armonico e vellutato. Nella versione Riserva (affinamento di 32 mesi di cui almeno 6 in legno) si fanno apprezzare di più i sentori balsamici e una persistenza in bocca molto più lunga. Da segnalare anche qui un campione di invecchiamento, il Roero Docg Riserva 2010 Malvirà Mombeltramo, (45 euro), un vero signore che sprigiona profumi di cuoio e qualche accenno di frutta matura, dei tannini nobili ma ancora al lavoro che fanno capire di poterlo accompagnare in maniera perfetta per tanti altri anni. Perfetto abbinato a un controfiletto di manzo con cardoncello arrosto.  

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