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Chiusura obbligatoria alle 23 in Lombardia per bar e ristoranti, la parola dei ristoratori

Chiusura

Chiusura obbligatoria e coprifuoco: il punto della situazione in Lombardia

Sulla chiusura obbligatoria alle 23 tutta la ristorazione milanese si trova d’accordo: è un grande torto. Per il portavoce FIEPET-Confesercenti Lombardia, Vincenzo Butticé: “si tratta di un ulteriore colpo per un settore estremamente provato dalla crisi economica, dal lockdown e dallo smart-working. Occorre ricordare che dietro a queste attività ci sono famiglie di imprenditori e lavoratori che vivono grazie alle loro aziende. Il tessuto socio-economico di ogni città è gravemente in pericolo.

Chiudere in anticipo e in maniera indiscriminata le attività potrebbe portare poi più danni che benefici, con operatori sempre più in difficoltà e cittadini che lasceranno la sicurezza dei locali per andare in strada, dove sarà minore la possibilità di controllare distanziamento e rispetto delle regole”.

“Chiediamo di rendere disponibili da oggi nuovi aiuti economici“, dichiara il portavoce FIEPET-Confesercenti Lombardia. “Interventi di sostegno certi, rapidi e adeguati, destinati alle imprese che entrerebbero in crisi per effetto delle restrizioni. Un ritardo è inammissibile: significherebbe la morte delle attività e un sistema economico che rischia di collassare. Occorre agire sui costi fissi, come affitti, Tari e Cosap, con interventi decisi ma troppo spesso lasciati alla libera iniziativa di amministratori locali e quindi disomogenei sul territorio e del tutto insufficienti“.

Le dichiarazioni dei ristoratori milanesi

Per Daniel Canzian del ristorante Daniel: “Come vicepresidente Italiano e membro del border europeo dell’Associazione Jre d’Europe, ritengo che dovremo fare come la Germania e Olanda. Ovvero non si può comparare allo stesso modo il bar della stazione centrale e un ristorante gourmet del centro di Milano: un’istanza già accolta in Germania. E’ importante mantenere tutte le sicurezze all’interno del ristorante mentre il coprifuoco è inutile: prendendo i mezzi pubblici, anche a orari diversi, ho notato diverse forme di assembramento, come in Galleria Vittorio Emanuele nell’ora di punta. Se ci sono delle regole devono valere per tutti”.

Per Tunde Pecsvari, titolare di Macha caffè e Osteria Brunello: “Una corretta gestione della situazione sanitaria ha la priorità e se sono necessarie misure restrittive, è doveroso attuarle. Ma dopo otto mesi dall’inizio della crisi è altrettanto doveroso da parte delle Istituzioni agire localmente ed entrando in merito nello specifico nelle dinamiche, per capire l’effettivo rischio che ne viene determinato. La ristorazione non è movida: offriamo un servizio ai cittadini, operiamo in sicurezza e rappresentiamo un grande valore anche in termini di indotto e occupazione. Un valore che va riconosciuto e tutelato.

Inoltre i provvedimenti presi dovrebbero essere chiari e precisi, in modo che la loro attuazione non lasci dubbio all’interpretazione. Ad esempio, ora si parla di un coprifuoco in Lombardia: è necessario definire al più presto se l’orario indicato, ovvero le 23, si riferisce al termine delle attività, ma rimane consentito per i lavoratori, e nel nostro caso per i clienti dei ristoranti, raggiungere le proprie abitazioni al termine di questo orario. Si parla anche di una chiusura, nei weekend, dei centri commerciali, dove molti brand della ristorazione hanno punto vendita. Questa proposta è motivata da ragioni concrete in termini di sicurezza sanitaria? Se il motivo è quello di contingentare gli ingressi ai centri commerciali, ci sarebbero molti modi per farlo, prima di arrivare ad una chiusura.

Noi con l’associazione UBRI, Unione Brand della Ristorazione Italiana, stiamo lavorando su pochi semplici punti ma che sono indispensabili per sostenere il nostro settore. Oltre al prolungamento della cassa integrazione, che a questo punto è inevitabile, occorre una legge nazionale, un intervento drastico sui canoni di locazione, che rischiano di affossare le imprese. È necessario un intervento per definire un tetto al delivery fee, sulla falsa riga di quello che è stato fatto negli Stati Uniti. Il delivery è e sarà un’attività sempre più importante per la ristorazione, va regolamentata in modo che le sue condizioni siano sostenibili per le imprese. Inoltre chiediamo provvedimenti mirati e precisi, che aiutano concretamente la risoluzione della crisi sanitaria senza danneggiare settori economici di primaria importanza. Per quanto un coprifuoco può essere comprensibile, chiediamo di farlo in modo mirato e riconoscere tra i motivi validi di spostamento anche quello di raggiungere un ristorante, un cinema o un centro commerciale, tutte attività che naturalmente devono operare in piena sicurezza”.

Per Riccardo Minati di Fisherman e Fisherman Pasta: “Il nuovo Dpcm non ha limitato la propagazione dei casi se non la parte economica. Da quando si sono rincorse le voci di chiusura, di orari, di coprifuoco, è stata una continua disdetta alle prenotazioni. Ritengo che il contagio non dipenda da comportamenti specifici ma avvenga in ridotta percentuale al ristorante o al pub, la maggior parte dei casi si passa attraverso i mezzi pubblici, a scuola, in famiglia. Una scelta responsabile sarebbe chiudere, in accordo con le istituzioni, che possano aiutarci nel breve, ed attuino politiche con abilità per gestire la ripartenza del settore nel medio e nel lungo periodo. Un conto è mettere in pausa una settore che occupa il 14% della forza lavoro del paese, un altro è annientarlo”.

Per Roberto Di Pinto di Sine: “Siamo esterrefatti, stavamo appena iniziando a lavorare bene e questo è sicuramente un duro colpo. Possiamo resistere per 2-3 settimane come hanno annunciato ma non credo sia possibile di più. Inoltre nel nostro ristorante c’era già oltre un metro di distanziamento sociale, anche pre lockdown: credo che chiudere alle 23 i ristoranti non cambi nulla quando di giorno non c’è distanziamento sui mezzi pubblici e non vengono rispettate le distanze in tanti ristoranti. Piuttosto sarebbe più utile fare dei controlli. Non possiamo organizzare nulla: avevo appena assunto un nuovo sommelier in sala per rafforzare il servizio. In primis siamo preoccupati per l’emergenza sanitaria però, prima che per quella economica, quindi se quest’anno non faremo grandi fatturati ma salveremo vite umane, ne siamo orgogliosi”.

Per Ilaria Puddu di Gelsomina, Marghe, Pizzium, Giolina e Crocca: “Per noi cambia poco in realtà, in settimana comunque chiudevamo alle 23 e quindi dovremo anticipare solo al weekend. Credo sarebbe meglio per il governo prendere altri tipi di provvedimenti che limitare le attività dei ristoranti: forse meglio chiudere totalmente per un paio di settimane e risolvere in modo definitivo la questione. Per noi è logorante tenere aperto e continuare a cambiare il modo di lavorare, gestire i dipendenti, adeguarci a regole sempre nuove”.

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