Magazine di ristorazione e itinerari enogastronomici
Approfondisci

Il Giandujotto tra genesi e trionfi: l’irresistibile fascino del grande protagonista di CioccolaTò

Dalle origini di uno dei cioccolatini più amati ai suoi “peccaminosi” intrecci di vite e destini con la città di Torino. Un concentrato di fascino e gusto, per più di due secoli di storia, celebrato nella kermesse del capoluogo piemontese dal 13 al 17 febbraio 2026.

Sarà uno dei protagonisti di CioccolaTò 2026, l’appuntamento internazionale che celebra l’eccellenza cioccolatiera del capoluogo piemontese. E il Gianduiotto, candidato con la dicitura Giandujotto di Torino al riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta, non poteva di certo mancare. Ma non sarà soltanto merce che andrà a ruba sui banchi di piazza Vittorio Veneto, dal 13 al 17 febbraio 2026: il concentrato di fascino e gusto, già iconico, prenderà il posto d’onore in degustazioni e laboratori, per un assaggio che, da solo, vale il viaggio di Carnevale e San Valentino.

L’assaggio che vale la trasferta

Il cioccolatino dal peso compreso tra i 4 e i 12 grammi vale, del resto, una trasferta. Lo suggerisce un vecchio spot di Carosello, risalente agli anni Settanta, dove raggiunta la stazione di Torino Porta Nuova con un diretto da Zurigo, un turista svizzero si aggira disperatamente per la città della Mole, alla ricerca dei famosi giandujotti. E tornerà a casa soddisfatto, naturalmente, solo dopo aver riempito un’intera cabina del treno di scatole di preziosi cioccolatini. A distanza di mezzo secolo, questo piccolo cioccolatino, dalla peculiare forma di prisma, dall’incarto dorato e dal sapore inconfondibile, continua ad appassionare per le storie e le leggende intorno alla sua nascita e a come sia diventato così amato e diffuso in tutto il mondo, al punto da divenire, oggi, uno dei simboli della località, da riportare a casa come souvenir. 

L’antenato del giandujotto: riscoprire il diablottino

Si stenta a crederci, ma dopo la scoperta dell’America e il conseguente arrivo in Europa della fava di cacao, ci vollero ben 200 anni prima che a qualcuno venisse in mente di consumare il prodotto non più solo come bevanda calda, ma anche in forma solida e a crudo, come si fa oggi. Un’esigenza che prese le sembianze del diablottino, tradizionalmente considerato il primo cioccolatino della storia, nato proprio a Torino. Realizzato in forma di piccolo disco e aromatizzato alla vaniglia, venne chiamato così forse per l’irresistibile tentazione a consumarne uno dopo l’altro, tanto che diventò rapidamente popolare alla Corte dei Savoia dove, a partire dal Settecento, fu servito nella Merenda Reale. Un connubio che si degusta ancora oggi nei caffè storici o in alcune caffetterie delle Residenze sabaude. 

Il blocco Napoleonico e la nascita della pasta Gianduja

Nel 1806 Torino è già dentro l’orbita francese e Napoleone, sempre più ai ferri corti con gli inglesi, istituisce quello che passò alla storia come il Blocco Continentale: niente più navi britanniche nei porti dell’Impero, e nemmeno cacao sugli scaffali delle cioccolaterie, se non ad altissimo esborso di denaro. Un colpo basso, per una città golosa. Tuttavia, i pasticcieri locali, gente industriosa e caparbia, trovarono la soluzione nella nocciola tonda gentile delle Langhe. Semplicemente vincente si rivelò l’idea di tritarla e aggiungerla alla pasta di cacao, tagliando i costi e fornendo al nuovo prodotto quel sapore inconfondibile che caratterizza la pasta Gianduja. Non si chiamò così, tuttavia, prima di qualche decennio e di un carnevale che sarebbe passato alla storia. 

Gobino, gianduiotti

La storia del Carnevale di Torino nel 1865

Perché a questa invenzione fosse dato il nome di Pasta Gianduja, occorre attendere il 1865. In particolare, il Carnevale, quando un attore travestito dalla omonima maschera della città di Torino, iniziò a distribuire ai passanti uno strano manufatto, avvolto in un involucro di carta, dal quale trasudava un delizioso aroma. Così nacque il Giandujotto, il primo cioccolatino della storia a essere incartato singolarmente. Oggi, dopo oltre 160 anni, è stata presentata la candidatura come prodotto IGP. Ottenere la certificazione sarebbe un grande e meritato traguardo per una delle leccornie più famose e amate al mondo.

Come si crea un Giandujotto

I primi esemplari erano realizzati a mano. Nel Novecento, invece, come alternativa ai gesti lenti dei maestri torinesi, si è fatta strada nelle linee produttive l’industria. Due metodi di realizzazione usati entrambi ancora oggi. L’erede diretto della tradizione è il procedimento a estrusione, con il composto deposto su una piastra senza stampi, lasciando che la sua forma nasca quasi da sé, come un tempo, c’era la mano attenta del pasticciere a guidarla. La tecnica a concaggio, invece, utilizza stampi destinati a modellare ogni pezzo, affinché il nuovo sia sempre identico a quello precedente.

Articoli correlati

“Malti d’Autore” e i Contenuti del 1° Convegno internazionale sul malto e orzo da birra in Italia

Sara De Bellis

Cartoline da “Roma e il meglio del Lazio”: in libreria la Guida del Gambero Rosso

Sara De Bellis

Anteprima Olio Dop Umbria 2024: un viaggio oleoturistico fra arte, paesaggi e cultura enogastronomica

Giulia De Sanctis