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L’Abruzzo e la Transumanza: l’antico rituale torna in auge con un festival pastorale nel Piccolo Tibet italiano


La “Rassegna degli Ovini”, il Mercato tra allevatori, pastori e artigiani, la Cena del Pastore e il concerto di Saltarello, sono stati solo alcuni dei momenti della seconda edizione di “TRA – La Transumanza che unisce”, ovvero il Festival della Transumanza snodato in un percorso ambientale, culturale e identitario promosso dalla Presidenza del Consiglio regionale; importante occasione per valorizzare la zootecnia e i suoi prodotti, alla presenza di allevatori, artigiani e pastori.

L’Abruzzo vuole così rendere omaggio all’ancestrale rituale con migliaia di ovini e bovini radunati nel suggestivo altopiano di Campo Imperatore da una rievocazione pastorale autentica, sincera e viscerale, tra armenti e balli tipici dell’Italia centrale per raccontare la tradizione di una bella storia italiana. Leggiamo il racconto e scopriamo di più.

La Storia della Transumanza

E’ una delle attività che ha segnato la storia sociale ed economica dell’Abruzzo: la Transumanza, riconosciuta come patrimonio immateriale dell’umanità nel 2019, antica pratica pastorale e principale risorsa del centro e meridione contadino, movimento stagionale del bestiame lungo antiche rotte migratorie dal mediterraneo alle Alpi (e viceversa) sempre alla ricerca di freschi pascoli e clima mite che potesse ristorare gli armenti.

Migliaia gli animali guidati, dall’alba al tramonto, da gruppi di pastori insieme ai loro cani e cavalli, lungo imperituri percorsi chiamati “tratturi”, larghi sentieri erbosi, originati proprio dal passaggio delle greggi e comparsi in epoca romana, che attraversavano l’Italia per oltre 3000 chilometri tra Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania e Puglia.

E proprio in Abruzzo il passaggio più antico detto “Tratturo Magno”, che collegava l’Aquila a Foggia, dove in estate attraverso il Molise le greggi raggiungevano i freschi pascoli montani dell’Abruzzo e in inverno il Tavoliere delle Puglie.

I pastori transumanti percorrevano queste antiche vie a piedi, in fila, uno dietro l’altro e ognuno col suo gregge, e la sera si stendevano sui prati tutti insieme, esposti al freddo e alla fatica, mangiavano pan cotto e ricotta con tanto vino che scaldava la strada e il cuore lontano da casa. Il cibo scarseggiava e si mangiava carne solo quando qualche pecora moriva per cause accidentali o azzannata dai lupi. Durante la notte mentre riposavano, erano soggetti a continui pericoli come furti di bestiame, assalti di lupi e morsi di serpenti e proprio per questo si narra che i pastori quando riposavano “dormivano con un occhio solo”, appunto per vigilare il bestiame. La vita del pastore non era facile, caratterizzata da privazioni e stenti.

Quando in estate seguiva le greggi, era costretto a ripararsi per la notte in delle grotte che erano adibite anche a ricovero animale. Oppure quando non vi erano ripari naturali, costruiva rifugi in terra o in pietra o anche capanne. Per questa loro condizione di vita, l’invocazione della protezione divina, dava loro la forza necessaria per affrontare i rischi del viaggio e i sacrifici del mestiere. Infatti lungo i tratturi, durante i secoli, sono sorte numerose chiese. Nel silenzio delle lunghe ore passate a fare la guardia al gregge, il pastore impiegava il tempo intagliando legno o scrivendo i propri pensieri incidendoli sulle rocce che incontrava lungo i tratturi. Soprattutto sulla Maiella troviamo incisioni un po’ ovunque, in zone circoscritte, diventate oggi dei veri e propri santuari che testimoniano la vita pastorale dei transumanti.

“TRA – La Transumanza che unisce. Esperienze, concerti, percorsi”

Da L’Aquila a Lanciano, Vasto e San Salvo, la seconda edizione del Festival della Transumanza, un percorso ambientale, culturale e identitario promosso dalla Presidenza del Consiglio regionale, per un mese ha acceso luci, piazze, borcghi e musica attorno lla Transumanza.

I pastori abruzzesi hanno voluto rendere omaggio all’ancestrale rito facendo ritrovare il 4 e 5 agosto migliaia di ovini e bovini nel suggestivo altopiano di Campo Imperatore, in una rievocazione pastorale autentica, sincera e viscerale tra armenti e balli tipici dell’Italia centrale, come “il Saltarello”.


Centinaia di capi di bestiame guidati dai fidati cani maremmani abruzzesi, colori, suoni di campanacci e voci dei pastori hanno riempito l’altopiano, posto a una quota variabile tra i 1500 e i 1900 metri, lungo circa venti chilometri, con le sue cime che sono tra le più elevate e suggestive dell’Appennino: il “Piccolo Tibet” che lascia senza fiato ogni attonito spettatore.

“TRA – La Transumanza che unisce” e la “Rassegna degli Ovini”, è stata l’ importante occasione per valorizzare la zootecnia e i suoi prodotti, alla presenza di allevatori, e artigiani che hanno dato vita ad una due giorni di mercato agricolo, sostenuti dalla Camera di Commercio del Gran Sasso d’Italia e dalla Presidenza del Consiglio Regionale dell’Abruzzo.


La Cena del Pastore, ha chiuso i festeggiamenti, in un unico grande e conviviale banchetto. Sul piatto: salumi d’asino, il raro formaggio “marcetto”, squisita crema piccante di formaggio pecorino fermentato, pecorino “canestrato” di Castel del Monte, utilizzato nei secoli dai pastori “transumanti”, le piccole ma saporitissime Lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, che crescono solo sulle pendici del Gran Sasso, nei territori incontaminati del Parco Nazionale a oltre mille metri di altitudine. I Fiadoni abruzzesi, una sorta di ravioloni tagliati a mezza luna e cotti al forno, nati dalla tradizione familiare e non da una ricetta originale e assoluta, con la sola certezza che contengono formaggi, solitamente Rigatino e pecorino, è facile, però, trovarli arricchiti anche con ricotta di mucca o pecora, come in provincia di Chieti, dove sono anche dolci. Per continuare con il piatto più atteso e ricercato: la pecora “al callaro”, carne cotta lentamente in grossi recipienti in rame chiamati appunto “callari” secondo l’uso dei pastori, e per finire: le Ferratelle, profumatissime cialde con liquore all’anice, cotte in larghe piastre roventi, accompagnate da liquore di genziana, pianta che cresce ad un’altitudine compresa tra i 1500 e i 2500 metri il cui nome deriva dal re Genzio dell’Illiria, il quale divulgò gli effetti benefici e le proprietà digestive delle radici della pianta, e proprio i pastori abruzzesi transumanti, iniziarono a raccogliere le radici di genziana a piedi del Gran Sasso, per farne una bavanda che li avrebbe accompagnati durante il loro percorso, diventato il liquore tipico della tradizione abruzzese.
Nei bicchieri: Montepulciano, Cerasuolo e Trebbiano, tutti “d’Abruzzo”.

Il rilancio delle aree interne – sostiene la presidente della Camera di Commercio Gran Sasso, Antonella Ballone – passa anche attraverso il sostegno e il rafforzamento delle attività tradizionali locali che costituiscono un tratto distintivo del territorio, e possono rappresentare un elemento attrattivo sia per il rilancio della zootecnia di montagna, che a fini turistici e per contribuire a dare il giusto valore alle produzioni tipiche del comparto agricolo e artigianale. La Rassegna è un importante momento dedicato alla valorizzazione economica dell’intera filiera dell’allevamento ovino, che rappresenta per l’ente camerale una azione prioritaria per ribadire il ruolo centrale del pastore nell’ambito della filiera zootecnica. È necessario – prosegue Ballone – definire una strategia finalizzata ad avvicinare gli allevatori ed i produttori ai mercati di sbocco garantendo la giusta remunerazione delle produzioni.


Con “TRA-La Transumanza che unisce vogliamo rivivere in chiave moderna quella che è stata per l’Abruzzo una delle più importanti attività in senso antropologico, storico ed economico, senza disperderne il carattere identitario. La Regione Abruzzo è capofila di un progetto di legge attraverso il quale vuole tornare a dare valore a questa grande arteria verde, il tratturo. Ha aggiunto il Presidente del Consiglio Regionale dell’Abruzzo, Lorenzo Sospiri.

Oggi sono rimasti pochi “pastori d’ Abruzzo” e l’ultimo spostamento a piedi risalirebbe al 1972, così anche dei viali segnati dal passaggio delle greggi rimane solo qualche traccia, ecco perché sulla promozione della transumanza – patrimonio identitario, e sugli antichi tratturi, il Consiglio Regionale dell’Abruzzo e le Camere di Commercio stanno lavorando attraverso il Progetto europeo “Parcovie 2030” in partenariato con altre otto regioni, con l’obiettivo di favorire il recupero e la fruibilità turistica delle aree di transumanza.

Lenticchie di Santo Stefano di Sessanio – Presidio Slow Food
È piccola e molto saporita: una minuscola lenticchia di pochi millimetri di diametro, globosa e di colore scuro, marrone-violaceo. Cresce oltre i mille metri di altitudine solo sulle pendici del Gran Sasso, nei territori incontaminati del Parco Nazionale. Alcune coltivazioni si spingono fino a 1600 metri, ma è intorno ai 1200 che danno i risultati migliori. Per le loro piccolissime dimensioni e l’estrema permeabilità, le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio non hanno bisogno di alcun ammollo preliminare. Sono straordinariamente saporite e il modo migliore per apprezzarle è una zuppa molto semplice: bisogna coprirle con acqua e aggiungere spicchi d’aglio scamiciati, qualche foglia di alloro, sale, olio extravergine e portare quindi a leggera ebollizione, a pentola chiusa.
Non si tratta di una lenticchia qualsiasi ma di un biotipo preciso selezionatosi in questa zona da tempi immemori. Basti pensare che le coltivazioni di legumi, e in particolare di lenticchie, in questa zona dell’Aquilano sono già citate in documenti monastici dell’anno 998. Qui ha trovato un habitat ideale, fatto di inverni lunghi e rigidi – al termine dei quali, alla fine di marzo, si seminano le lenticchie – e di primavere brevi e fresche. I terreni poveri di montagna (calcarei) sono perfetti per le lenticchie, che non richiedono nemmeno grandi concimazioni.

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