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Livorno: le tradizioni a tavola tra aneddoti e curiosità

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Un polo gastronomico tutto da scoprire, tra ricette locali e contaminazioni culturali che hanno reso Livorno una delle destinazioni culinarie più vivaci e identitarie d’Italia.

A Livorno la degustazione viene accompagnata da immancabili aneddoti e storie legati ai protagonisti della tavola. Un flusso di sapori in continuo divenire, plasmato nei secoli dai popoli che tra i fossi, i canali di acqua marina che solcano la città toscana, seconda per estensione della regione, hanno convissuto e non sempre senza attriti. Per capire i livornesi e da dove arrivi la loro cucina, così connotata e distinta, occorre fare un salto indietro nel tempo: siamo nella seconda metà del ‘500, Porto Pisano è ormai insabbiato e occorre un nuovo punto di riferimento per gli effervescenti traffici marittimi del Tirreno settentrionale. I Medici individuano in questa fase proprio in Livorno, acquistata nel secolo precedente dalla Repubblica di Genova, l’erede della lunga tradizione marinara territoriale, gettando le basi di quello che sarebbe diventato, di lì a pochi decenni, il più importante porto della Toscana e uno dei più frequentati del Mediterraneo. Grazie alle Leggi Livornine e all’abolizione dei dazi doganali che la resero un porto franco, la città labronica divenne una città cosmopolita, in cui ebrei, greci, armeni, olandesi, turchi, tedeschi, inglesi, francesi e molti altri popoli, in fuga da persecuzioni o in cerca di nuove opportunità commerciali, trovarono una nuova casa. Furono proprio gli ebrei sefarditi a portare in Toscana, oltre ai classici della loro cucina poi rielaborati come le roschette e il cuscussù – variante locale del cous cous ebraico – le novità provenienti dal Nuovo Mondo, come pomodoro e peperoncino, ancora oggi protagoniste della proposta gastronomica locale, che scopriamo attraverso le ricette più iconiche.

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La Torta di ceci livornese: origine e aneddoti

Tutto pare sia iniziato con lo scontro avvenuto, nel 1284, poco fuori dal porto di Livorno, tra pisani e genovesi in quella che passò alla storia come Battaglia della Meloria, il più importante combattimento navale di tutto il Medioevo. Si racconta che, speronata dai pisani, la stiva di una galea genovese contenente sacchi di farina di ceci e barili d’olio abbia cominciato a imbarcare acqua. Da quella poltiglia di ceci ed olio, impregnata di sale marino, pare sia nata per puro caso la famosa torta di ceci. Forse è per questo che a Livorno, in una delle decine di locali con l’insegna “Pizza e Torta”, guai a ordinare una fetta di farinata o, peggio ancora, di cecìna. Una pietanza apprezzata ancora meglio, se degustata dentro un fragrante panino che prende nome di 5 e 5, in ricordo dell’originario costo: 5 soldi per il pane e 5 per la torta. Storia o leggenda poco importa, quando si addenta qualcosa di buono che ha molto da dire.

Sua maestà il Cacciucco

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Si dice che a inventarlo sia stato un turco di Smirne di nome Ahmet, il quale, aperta una taverna nella cosmopolita Livorno, aggiunse proprio la salsa di pomodoro al balık çorbası, la classica zuppa di pesce turca. Per risparmiare, lo stesso comprava al mercato i pesci più piccoli e rimasti invenduti, urlando ai pescivendoli che volevano esemplari più grandi e costosi, le parole “küçük, küçük!” (piccoli, piccoli). Da qui, il nome Cacciucco. Verità o leggenda? Chi può dirlo, ma è certo che oggi non c’è famiglia a Livorno che non abbia, al riguardo, il proprio ingrediente segreto, una propria tradizione che si tramanda di generazione in generazione. E in agosto, proprio la più iconica delle ricette labroniche, viene celebrata dal Cacciucco Pride, una vetrina di sapori livornesi che mette in scena l’arte gastronomica locale.

Livorno: gli altri piatti della tradizione

Il mare di Livorno è generoso e offre tesori ineguagliabili. Il Cacciucco ne è l’emblema ma non è il solo a raccontare una tradizione culinaria. Le Triglie alla Livornese, più saporite perché di scoglio, le Seppie in Zimino, il Baccalà e lo stoccafisso alla Livornese, i totani e le seppie ripiene, gli Zerri “sotto il Pesto”, gli Spaghetti sulle Zighe, le Arselle, le Cozze al tramonto, sono “must” per ogni visitatore. E per chi non ama particolarmente il pesce, non mancano le ricette di terra, spesso realizzate con poco o con gli avanzi del giorno prima. Ne sono esempi il “bordatino”, una squisita minestra a base di polenta e cavolo nero cotta in un brodo di fagioli; “l’Inno di Garibaldi” e la Francesina, due diversi piatti che condividono l’ingrediente principale, il lesso avanzato; il Pollo in galantina, il Cavolo “Strasci’ato”, così chiamato perché durante la cottura viene strusciato nella padella in modo che diventi una crema molto grossolana; la Minestra “sulla Palla”, dove la sefra indica il cavolfiore. Solo alcune delle tante altre specialità da gustare nei ristoranti e nelle osterie della città.

Il rito di fine pasto: il Ponce, un elisir cittadino

Un altro elemento caratteristico della tavola livornese e che affonda invece le radici nelle abitudini dei marinai inglesi approdati tra il Seicento e il Settecento. Furono loro a portare con sé il Punch e il Grog, miscele ruvidissime di agrumi, zucchero, tè, acqua e rum delle Antille nate per scaldarsi nelle traversate lunghe e umide; o per coprire il sapore limaccioso dell’acqua potabile. I livornesi, osservando i forestieri nei porti e nelle taverne, ne assorbirono lo spirito pratico e la logica da bordo nave, ma rimescolarono tutto secondo il proprio gusto: via il tè, dentro il caffè; agrumi ridotti all’essenziale; rum sostituito con un distillato più povero, il “rumme”, nato quasi per necessità. Così, prese forma il Ponce, bevanda di fine pasto che sarebbe poi diventata simbolo della città. Servito bollente in un gottino di vetro dal fondo spesso, il drink va sorseggiato con calma, ma prima che si raffreddi. Attenzione però a non esagerare. Una celebre filastrocca locale recita “Onci onci onci, bevi di meno ponci, guarda ‘ome ti ‘onci a bé tutti ve’ ponci”!

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