Magazine di ristorazione e itinerari enogastronomici
Notizie

Lo spirit of Scotland di Pino Perrone

Pino Perrone

Che di Spirit of Scotland, il Rome Whisky Festival in programma al Salone delle Fontane il 4 e il 5 marzo, è organizzatore e whisky consultant. Lo abbiamo incontrato e abbiamo parlato delle novità della sesta edizione dell’evento. Ma pure di abbinamenti food-single malt, di whisky giapponesi e di Manuel Vazquez Montalban

di Francesco Gabriele (francesco@mangiaebevi.it)

Pino Perrone non è un fan della torba: «Raramente i torbati hanno un equilibrio e io tendo a cercarlo in un whisky». Ma anche fosse il più equilibrato di tutti, l’organizzatore di Spirit of Scotland, (in programma il 4 e 5 marzo al Salone delle Fontane), col whisky non pasteggerebbe a tavola, «perché andrebbe diluito al punto da trasformarlo in qualcos’altro», racconta e a lui questo tipo d’approccio non appassiona per nulla, «lo lascio volentieri a coloro che lo gradiscono, come avviene con certe popolazioni». Non con gli scozzesi, per i quali «il whisky è un compagno per tutta la giornata, a prescindere dall’alimentazione». E dagli abbinamenti tipici, che pure nelle Highlands mica mancano: «con crostacei, molluschi, salmone, con l’haggis e, perché no, con il fish & chips». 

Del Rome Whisky Festival, giunto alla sesta edizione, Perrone è organizzatore e whisky consultant dal 2013. Per lo meno in via ufficiale, perché già dall’anno prima «più d’una mano» l’aveva data anche nelle vesti di espositore con il suo Emporio del Gusto, whisky shop e piccola bottega di ricercatezze enogastronomiche a Roma, in via Chiabrera. «Mi divertii molto. E dire che quando Rachel Rennie – l’altra whisky consultant del festival, ndr – si presentò in negozio per propormi di aderire ero molto scettico. Rifiutai: avevo dubbi sul fatto che l’evento potesse funzionare. Poi però cambiai idea, pensando fosse comunque una buona vetrina. Quella prima edizione non andò affatto male, e la cosa mi sorprese e mi fece riflettere. Così chiesi se poteva esser d’aiuto per completare il team un “appassionato colto”, come mi definisco. E così fu».

La passione colta di Pino Perrone per il whisky è sbocciata un quarto di secolo fa, per via d’uno scrittore: Manuel Vazquez Montalban. «Oltre ad essere stato un grande narratore era un profondo conoscitore di cibo, vini e distillati. Nel 1992 mi ero innamorato della saga del detective privato Pepe Carvalho: in quei libri trovai descritto per la prima volta un single malt scotch whisky, il Knockando. Mi proposi d’acquistarne una bottiglia per assaggiare quello che lo scrittore definiva il “whisky delle profonde perplessità” e in altre occasioni quello che favoriva gli incontri». 

Quel Knockando non fu che la seconda bottiglia di whisky «diversa dai blended conosciuti e che erano periodicamente regalati per le festività natalizie a mio padre» che Pino acquistò («la prima fu una versione da un litro di Lagavulin 16 anni, presa in maniera del tutto casuale un’estate a Livigno»). E gli cambiò la vita. 

La passione è diventata lavoro, e le bottiglie (rare tra l’altro) circa 800: almeno quelle che ha messo in vendita nel suo ultimo progetto Whisky & Co in via Margutta, a Roma: un luogo di ricerca e di culto interamente dedicato ai distillati, frutto della collaborazione con Andrea Fofi, ideatore di Spirit of Scotland, e di un importante imbottigliatore indipendente, Silver Seal di Massimo Righi. «La nostra attenzione si è rivolta in particolare ai single cask, e agli imbottigliatori indipendenti. Abbiamo ovviamente anche molti imbottigliamenti originali, ma la nostra idea è di proporre qualcosa di diverso e di difficile reperimento nelle vecchie enoteche. Abbiamo puntato sull’eccellenza che può dare una singola botte, che non è mai uguale a se stessa, e dà una sorta di autenticità al prodotto». 

Molti dei clienti che entrano da Whisky & Co, esperti o semplici amatori che siano, «si recano direttamente al settore giapponese» ammette Perrone. Il whisky del Sol Levante è quello che va per la maggiore in questo momento, non solo nell’ambito della miscelazione. «E soprattutto fra noi europei – aggiunge – che identifichiamo il Giappone come il Paese del desiderio, con annesse le sue contraddizioni, che sono molte. Ma bisogna fare attenzione a una cosa». E spiega minuziosamente.

«Un tempo, nell’ambito degli operatori del vino, le persone che richiedevano solo marche note, senza prima interessarsi di assaggiare qualcosa di simile, magari qualitativamente superiore, venivano definite “compratori di etichette”. Ora invito a non acquistare solo un “ideogramma”. Certamente i giapponesi sono maestri in tal senso: con loro anche le cose più banali sono eleganti nella forma e ricercata. Attirano “tout court”. Se non fosse che poi il prodotto andrebbe anche consumato. Ebbene, attualmente per come la vedo io, assistiamo in commercio a prodotti per i quali non vedo orizzonti differenti alla miscelazione e altri che invece sono autentici protagonisti di una degustazione. Il rammarico é che questi ultimi qualche anno fa costavano un terzo. C’è talmente tanto consumo di whisky giapponese nel mondo che i produttori hanno problemi a rilasci che un tempo erano sufficienti e avanzavano».

Le ragioni di questa “moda” nipponica sono tante. E di natura diversa. «Certamente i premi ricevuti hanno fatto la loro parte. Anche l’endorsement della Francia, il più grande Paese consumatore di whisky pro-capite, ha avuto la sua importanza. E poi il drama andato in onda in televisione in patria titolato Massan, che racconta la storia del padre del whisky giapponese, Masataka Taketsuru, e di sua moglie Rita Cowan, per la bellezza di 150 puntate, ha fatto molto altro. Non dimentichiamoci però che alcuni dei whisky provenienti da questo arcipelago sono tra i migliori esistenti, complice l’attuazione, in molti casi, di tecniche del passato. Altro che moda».

Dallo Yamazakura al Togouchi, i whisky giapponesi saranno protagonisti come di consueto anche a Spirit of Scotland, che in questo 2017 si presenta particolarmente ricco di novità. A cominciare da «una competition per barman con tanto di giuria esperta e premio di mille euro per il vincitore. I concorrenti dovranno cimentarsi in una prova creativa, utilizzando gli ingredienti di una blackbox il cui contenuto sarà scoperto solo all’istante. Con quelli dovranno creare un cocktail di loro invenzione. Ci saranno poi seminari condotti da relatori d’eccezione, anche stranieri».

Per la prima volta sarà presente anche un’area food/gourmet «per gli abbinamenti col whisky, di cui però non svelerò nulla: una sorpresa che stiamo definendo, tenendo conto di vari fattori che un festival con grande affluenza deve tenere in considerazione». 

Doveva esserci pure la presentazione del libro Whisky Eretico da parte dell’autore Silvano Samaroli, «uno degli “attori” più importanti nella scena dei selezionatori indipendenti mondiali». Doveva. Perché Samaroli è venuto a mancare giusto qualche giorno fa, 24 ore dopo la realizzazione di questa intervista, di ritorno in volo da Singapore, dopo uno dei suoi viaggi alla scoperta di blended, single malt e distillati.

«Caro Silvano, ma te ne vai così?».

Pino Perrone

Articoli correlati

Ristoranti e bar, si riparte lunedì 18: distanza di 1 metro, non obbligatori i divisori in plexiglass e niente buffet

Redazione

La pubblicità del cibo spinge i bambini a mangiare di più e male

Francesco Gabriele

Progetto Diodoros, alla Valle dei Templi esperienze di gusto e prodotti che portano la Sicilia nel mondo

Manuela Zanni