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Polinesia selvaggia: tappa a Nuku Hiva alle Isole Marchesi

isole marchesi

Missioni cattoliche, siti archeologici e rituali tribali, ma anche il ristorante del villaggio dove assaggiare piatti tipici nella prima meta di approdo della nave cargo Aranui.

Un’isola per viaggiare indietro nel tempo, tra misticismo e archeologia, immergendosi in luoghi sacri ancestrali e più recenti. Ad accogliere i forestieri che sbarcano dalla nave cargo Aranui (una parte della quale è riservata al turismo leisure), salpata da Papeete nell’isola di Tahiti e già approdata a Fakarava nell’arcipelago delle Tuamotu sulla rotta verso le remote e selvagge Isole Marchesi, è la gente del posto, coinvolta nella giornata di esplorazione a terra, con i loro veicoli 4×4. Canti, inchini e l’immancabile saluto, non più “Ia orana” (ciao in lingua tahitiana), bensì “Ka’Oha Nui”, danno il caloroso benvenuto ai turisti della affascinante crociera pensata per avventurieri che amano la vacanza attiva e che vogliono conoscere la cultura culinaria come gli usi e costumi del popolo della “Terre des Hommes” (il nome con cui veniva chiamato questo lontano arcipelago polinesiano in passato). 

isole marchesi

Le Isole Marchesi

Ed è Nuku Hiva, isola del gruppo nord, la prima tappa prevista alle isole Marchesi, con arrivo alle ore 5:30, imperdibile dal ponte 10 ma con una inevitabile tazza di caffè da sorseggiare per il risveglio ancora prima dell’alba. Subito si raggiunge la centrale Cattedrale Notre Dame des ìles Marquises, nel villaggio di Taiohae, fondata dai cattolici missionari che si occuperanno poi, dai primi decenni del Novecento, dello sviluppo economico e dell’educazione dei bambini, che ancora oggi frequentano la scuola privata davanti al luogo sacro. La chiesa si visita con una approfondita spiegazione di un marchesiano doc, il divulgatore Pascal Erhel, che a bordo, durante la navigazione, ma anche nel corso delle escursioni, cattura l’attenzione dei passeggeri con aneddoti e cenni storici. Colpisce, su tutto, che le sculture dei personaggi biblici, come Davide, suonino l’ukulele, la famosa chitarrina a quattro corde che in Polinesia sprigiona allegria in ogni dove, anziché la lira, come vuole invece la narrazione classica. 

isole marchesi

Tutte le isole hanno inviato le loro pietre di costruzione per permettere alla cattedrale di essere realizzata e vi si accede da una grande porta, dove ci si scatta la foto-ricordo, che faceva parte un tempo di un’antica cappella che oggi non esiste più. Del passato si conserva invece, come l’originale, lo spazio esterno, occupato allora dalla piazza pubblica. Dai luoghi della spiritualità cattolica dello scorso secolo a quelli ancestrali isolan, la distanza è breve e si misura in una manciata di chilometri. Basta raggiungere, infatti, il sito archeologico Tohua Kamuihei. Una preziosa testimonianza della vita della comunità, quando proprio lì si tenevano, ad esempio, i consigli di guerra e, su un grande tavolo di pietra, si facevano le circoncisioni igieniche (e non religiose), come pure i tatuaggi, unici elementi di memoria scritta della tradizione delle isole Marchesi, dove la cultura è solamente orale. Scene quotidiane e simboliche, spesso realizzate su pelle dai preti, con le incantatrici accanto che, con le loro melodie, provavano a  placare il dolore. Una grande pietra, poi, mostra dei petroglifi che è possibile decifrare, con l’aiuto delle guide locali. Come l’incisione che ha la forma di un pesce premonitore di eventi nefasti, tipo lo tsunami, o di una tartaruga marina, considerata sacra in quanto messaggera del Divino. 

Un’area di grande quiete e misticismo, ritenuta ancora viva dagli abitanti, tanto che vi si accede solo dopo aver assistito a una danza tribale che ne consente l’ingresso. Uno spettacolo imperdibile, dove sono protagonisti dei marchesiani con indosso gonne di foglie di palma da cocco secche e collane di ossi che, dimenandosi e suonando percussioni a ritmi incessanti, inscenano attività di vita quotidiana come la pesca e la produzione della remunerativa copra (ricavata dalle noci di cocco essiccate), facendo vibrare i cuori dei forestieri, ammaliati da un contesto esotico che sprigiona potenza da sotto un grande e sacro albero Banyan nel villaggio di Hatiheu. Un piccolo centro abitato su una scenografica baia con le strade impresse da disegni di animali del regno del mare, come le tartarughe e le mante, dove fermarsi per una tappa gastronomica. Basta cercare il ristorantino in stile tipico dove si mangiano prelibatezze locali come il poisson cru, realizzato con il tonno fresco polinesiano, la capra al latte di cocco e la carne di maiale.

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