Magazine di ristorazione e itinerari enogastronomici
ApprofondisciBereVino

La Luce del Vino: un’esperienza sensoriale con Luca Boccoli

luca boccoli

Tra note, calici e silenzio: a Trastevere una degustazione con Luca Boccoli che va oltre la vista, per toccare l’anima.

Luca Boccoli – sommelier e comunicatore del vino da oltre trent’anni – ci accoglie in una mattina di luglio, in un angolo nascosto e silenzioso di Trastevere per una degustazione “al buio”.  Un’esperienza rara, quasi intima, un vero e proprio viaggio emozionale, sensoriale, interiore. Sette anni fa un incidente motociclistico ha tolto la vista a Luca. Ma non il suo modo di vedere. Da allora, la sua relazione con il vino – profonda e viscerale – si è trasformata in qualcosa di più complesso, più raffinato, più sensibile. E, paradossalmente, più limpido.

Non è nato cieco, Luca: ha conosciuto il mondo con gli occhi, poi ha dovuto imparare a sentirlo, a viverlo, a narrarlo diversamente. È questa consapevolezza – doppia, contrastata e preziosa – che ci ha trasferito in poco più di un’ora. Insieme a produttori, appassionati, e a chi il vino lo racconta, abbiamo vissuto la sua quotidianità: percepire un calice senza poterlo osservare. Ma ascoltarlo, annusarlo, sentirlo fluire nel corpo e nell’anima.

Questa, ci ha spiegato, è la vera degustazione “alla cieca”. Quella che molti chiamano così, dove si nasconde solo l’etichetta, dovrebbe piuttosto dirsi “coperta”. Qui, invece, si entra nel buio. Fisico, totale, avvolgente. Dove l’occhio tace e l’udito si amplifica. Dove il vino parla davvero. Al buio, il vino si respira, si sente nelle viscere, si riconosce nei suoni che produce mentre scivola nel calice. Non si sputa, si beve. Si assapora fino in fondo. Un’esperienza quasi meditativa, corporea, densa.

Niente è lasciato al caso, nemmeno la scelta dell’ambiente. Studio 33, nel cuore di Trastevere, è una sala d’ascolto hi-end pensata per far suonare la musica come si deve: pura, calda, avvolgente. Diffusori artigianali, amplificatori a valvole anni ’50, acustica da pelle d’oca. Qui, tra legno massello e vinili, le note fluttuano nell’aria, si fondono con l’aroma del vino, creano una sinfonia sensoriale.

La voce di De André, i suoni di Morricone reinterpretati da Pat Metheny, le sfumature più delicate di Califano e De Gregori fanno da sottofondo, tenere e precise. Niente hit, solo melodie scelte con cura per accompagnare, non distrarre. Nel buio, il vino arriva più profondo. Ogni goccia sembra avere una propria voce. Una propria vibrazione.

La degustazione

La Cantina Roccafiore, protagonista dell’incontro, ha messo in scena – alla cieca – una verticale del suo Grechetto di Todi Fiorfiore, facendoci attraversare gli anni.

Fiorfiore 2016 sorprende per la sua freschezza, tanto da sembrare giovanissimo. Teso, elegante, con note di miele d’acacia e frutta gialla. Forse un po’ meno persistente, ma ancora vivo.

Fiorfiore 2017, da un’annata calda, ha invece mostrato energia, sapidità, e una struttura più densa, con una lieve nota tannica.

Fiorfiore 2018 è un sorso verticale, complesso, pieno, minerale e speziato. Lungo, avvolgente, con il respiro dell’esotico.

Fiorfiore 2019, invece, più semplice, poco concentrato ma comunque sapido.

Fiorfiore 2014, servito da magnum, ha chiuso l’esperienza come solo i vini longevi sanno fare: evoluto, sì, ma ancora teso, vibrante, ricco di sfumature di miele, cera d’api, crema e note minerali profonde.

Il progetto della Cantina Roccafiore è ambizioso ma radicato. Nata a fine anni ’90 per volontà di Leonardo Baccarelli, oggi è gestita dal figlio Luca. Solo 15 ettari vitati su 90 totali, grande attenzione alla sostenibilità, al biologico, all’energia pulita. Vini in “sottrazione”, sì, ma pieni di identità, freschezza, eleganza. La vinificazione è rispettosa: fermentazione spontanea, affinamento in anfore non ossidative, botti esauste, nessuna malolattica. E, soprattutto, nessuna concessione all’opulenza. Il risultato è una linea coerente, costante, fatta di equilibrio e profondità. Alla fine, non è stato solo un evento sul vino. È stata un’esperienza che ha toccato qualcosa dentro. Una degustazione diventata meditazione, dialogo interiore, sospensione del tempo. Luca Boccoli ci ha mostrato che si può “vedere” anche senza occhi. E che il vino, se davvero ascoltato, ha molto da raccontare.

Articoli correlati

Lo Scèblasti di Zollino: il pane da sballo della Grecia Salentina, icona di contenuto senza forma

Sara De Bellis

Prosecco: non solo bevanda ma anche ingrediente

Redazione

“Assaggi” di Lazio e il Successo del Primo Salone Enogastronomico Viterbese

Benedetta Ferrari