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Agritur Nambi, là dove la montagna diventa casa

agritur

Una baita tra i boschi della Valle d’Agone che profuma di casa e dove ritrovare il sapore della montagna: Agritur Nambi.

Ci sono luoghi che non si trovano sulle mappe, o meglio: che, pur essendo segnati, si scoprono davvero solo quando il cuore è pronto a riceverli. La Valle d’Agone è uno di questi luoghi, un abbraccio di rocce e boschi, dove il complesso del Brenta e dell’Adamello si stringono come due giganti custodi di un segreto. In una radura sospesa a 1375 metri, tra profumo di resina e vento d’altura, sorge l’Agritur Nambi.

Non è solo una baita. È una storia di famiglia, di mani callose e occhi gentili, di latte appena munto e tramonti infuocati. È un racconto che comincia decenni fa, quando un bambino, Gianluigi Rocca, imparava a dipingere prima ancora di scrivere, grazie alle “sorelle maestre”, le uniche maestre del paese. Pittore (e di fama, anche se non ama ammetterlo) e artigiano della vita, Gianluigi ha saputo unire la concretezza di chi conosce la terra alla delicatezza di chi sa leggere il cielo. Sei mesi l’anno li trascorreva quassù, lontano dal mondo e vicino alla bellezza del creato, tra pecore, cime e lana; gli altri sei li dedicava all’insegnamento all’Accademia di Brera, a Milano, portando con sé negli occhi le vette delle montagne e nei gesti il ritmo lento della malga.

E anche se oggi lascia spazio ai giovani della famiglia, il suo spirito (e tutta la sua enorme forza di volontà) aleggia tra le travi di legno e le stoviglie di coccio, che spesso ripara. La nuova stagione di questa storia ha il volto luminoso di sua figlia, Anna Rocca. Bella come un racconto di montagna, con i capelli lunghi che scendono sulle spalle come fili d’oro e il sorriso di chi conosce ogni sentiero. Una Rapunzel delle Alpi, capace di accogliere i viandanti con la stessa naturalezza con cui si mette sul fuoco una pentola di polenta. Insieme al compagno di vita e di malga, Mattia Marocchi porta avanti la cucina e l’anima di Agritur Nambi.

All’Agritur Nambi non c’è luce elettrica. Non ci sono cellulari. Non ci sono orologi a scandire il tempo, se non il sole e il crepitio del camino. Qui il battito delle ore non scorre: torna indietro, fino a quando la sera era il momento in cui ci si riuniva attorno a una tavola illuminata dalle candele, e ogni boccone aveva un sapore pieno, vero.

La proposta gastronomica

I piatti raccontano la vita di malga. Dal cuore di Malga Movlina, dove abita il fratello di Anna, arrivano latte munto a mano da poche vacche, nutrite in estate con erba di pascolo e in inverno con fieno profumato. Lo yogurt, cremoso e delicato, è un tesoro fragile: troppo buono per essere trasportato, troppo vivo per sopportare viaggi. Viene servito con composta di frutti rossi raccolti nei boschi, in giornate di sole e di respiro lento.

I formaggi, stagionati o freschi, portano nel sapore la memoria dei pascoli d’alta quota. Li si trova sui taglieri insieme a speck e salame locali, in un trionfo semplice e generoso. Ma ogni famiglia ha i suoi segreti, e qui il segreto dolce si chiama Angela Rocca: la sorella che ama stare lontana dalle foto e dai racconti, ma che si tradisce nelle sue creazioni indimenticabili. Torte soffici, biscotti fragranti, dessert che sembrano usciti da una cucina di un secolo fa, dove ogni gesto era lento e ogni ingrediente aveva un’anima.

Il piatto che rimane nella memoria, però, è il piatto unico della casa: polenta rosolata nel burro di malga, con farina integrale macinata dalla famiglia, fonduta di formaggio fresco, spezzatino di carne cotto lentamente, funghi, se si trovano lungo il percorso, e verdure dell’orto coltivate a mano. In inverno è il piatto che scalda le ossa; in estate è quello che dà forza ai passi.

E poi le bevande, che non sono mai semplici bevande. Lo sciroppo di sambuco fatto in casa, il succo di mela limpido e sincero, il caffè Adler preparato con la moka come nelle cucine di un tempo. La grappa, i liquori di frutta e di erbe, tra cui quello di pino mugo, profumato come una passeggiata tra gli abeti dopo la pioggia. E il vino della vallata, sfuso o in bottiglia, che porta in tavola il sole dei pendii e il lavoro delle mani che li coltivano.

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