Viticoltura eroica, resistenza e sapienza contadina in Valle d’Aosta si traducono in vini unici che raccontano un territorio con forza e autenticità.
C’è una regione, la più piccola d’Italia, che custodisce una delle più grandi meraviglie vitivinicole del nostro Paese: la Valle d’Aosta. Qui la vite cresce all’ombra dei tremila metri, sulle pendici scoscese dove le Alpi sembrano volersi chiudere a scrigno, proteggendo un patrimonio che ha il sapore dell’ostinazione e dell’eleganza.
Il clima valdostano è un paradosso affascinante. Nonostante l’altitudine, il fondovalle gode di un microclima sorprendentemente mite: le montagne formano una barriera che trattiene i venti freddi e regala inverni meno rigidi di quanto ci si aspetterebbe, mentre le estati sono calde, poco piovose ma sempre mitigate dalla ventilazione costante. Le escursioni termiche tra giorno e notte incidono con decisione sul profilo aromatico delle uve, esaltandone freschezza e complessità.
I terreni sono figli delle rocce: sabbiosi, sciolti, ricchi di minerali, offrono poco nutrimento ma tanta personalità. Le radici devono affondare in profondità per cercare acqua e vita, e in questo sforzo si caricano della ricchezza del sottosuolo alpino, trasmettendo al vino la nitidezza che è cifra della Valle.

La viticoltura eroica
Parlare di Valle d’Aosta significa inevitabilmente parlare di viticoltura eroica. I vigneti si arrampicano su terrazzamenti di pietra a secco, sospesi tra cielo e dirupi, laddove nessuna macchina può arrivare. Qui il lavoro è manuale, antico, faticoso eppure nobile: ogni filare è frutto di un impegno che si tramanda di generazione in generazione, quasi fosse un atto di resistenza culturale prima ancora che agricola. È questa eroicità che conferisce al vino valdostano un valore che va oltre il bicchiere, raccontando la storia di chi non si è arreso all’impossibile.
I vitigni autoctoni
La Valle d’Aosta custodisce un patrimonio di vitigni autoctoni che altrove non esistono o hanno trovato qui una nuova patria. Il Petit Rouge, cuore di molti vini DOC, dà origine a rossi fragranti e speziati; il Fumin esprime profondità e tensione, con un carattere austero ma elegante; il Cornalin, vitigno antico e raro, regala vini nervosi, scuri, dal temperamento alpino. E accanto a questi, i bianchi: il Prié Blanc, coltivato ai piedi del Monte Bianco a oltre 1.000 metri, è uno dei vigneti più alti d’Europa e dà vita al Blanc de Morgex et de La Salle, un vino di purezza cristallina o il Petite Arvine, altro vitigno autoctono delle Alpi, noto per la sua elevata acidità, i suoi aromi freschi, la sua spiccata mineralità. Ogni vitigno è parte di un mosaico che esprime diversità e unicità di un territorio che non ha eguali.
Due cantine, due anime della Valle
Noussan


La cantina Noussan è il riflesso di una famiglia che ha scelto di radicare il proprio destino nella terra. Nata nel 2004 e situata a Saint-Christophe, vicino ad Aosta, custodisce la memoria di generazioni contadine che hanno fatto del vino non solo un lavoro, ma un atto d’amore per la propria identità. Gli ettari vitati sono 2,5 tra i 550 e gli 800 metri di altitudine, tutti su terrazzamenti e ciglioni.
L’approccio è artigianale e rispettoso dell’ambiente e sostenibile, con un’attenzione costante alla valorizzazione dei vitigni autoctoni: dal Petit Rouge al Fumin, ogni bottiglia è un piccolo ritratto di montagna. Le bottiglie prodotte sono circa 10 mila l’anno. I vini Noussan hanno il pregio della sincerità: non cercano di compiacere, ma di raccontare. Dentro i calici si riconosce il ritmo lento delle stagioni valdostane, l’autenticità di un sapere contadino che non ha bisogno di artifici.
I due vini che vogliamo ricordare sono il Pinot Grigio macerato 2022, che svolge tutta la fermentazione in Tonneaux aperto, poi dopo la frollatura viene separato dalle bucce e messo in barrique a tostatura leggera per 8 mesi. Un colore arancio luminoso, con note di amarena, caramella Rossana e vaniglia; fresco e piacevolissimo al palato.
E poi il Fumin 2023, il vitigno più strutturato tra quelli autoctoni valdostani, che viene affinato in botte grande e Tonneaux per 12 mesi. Le sensazioni al naso sono di frutta di bosco, terra bagnata e spezie. Il tannino è vellutato e il vino risulta estremamente equilibrato e di buona struttura. Un gran bel vino!
Leffrey


La storia di Leffrey nasce invece nel cuore della Valle, a Fenìs, un piccolo villaggio sospeso tra vigne e pascoli. È il progetto di chi ha deciso di dare nuova voce a vigneti antichi, recuperando appezzamenti spesso abbandonati e restituendo loro dignità. La proprietà è di Stefano Minetti, torinese di origine che nel 2015 decide con la famiglia di lasciare la grande città per una vita a contatto con la natura. Compra mezzo ettaro di terra e da lì inizia la sua avventura di vignaiolo. I contadini anziani che possiedono piccolissimi vigneti su terrazzamenti vicino al suo, cominciano a chiedergli se lui può gestirli e così, uno dopo l’altro, oggi ha rapporti con 35 piccoli proprietari per un totale di 2 ettari di vigneti, tra i 600 e i 900 metri di altitudine.
La filosofia è quella di un ritorno alla terra, ma con uno sguardo attento all’innovazione: vinificazioni curate, precisione tecnica e rispetto dei ritmi naturali. Stefano lavora in regime biodinamico e i suoi vini hanno una forza gentile, un equilibrio che coniuga la ruvidità alpina con la grazia della mano dell’uomo. Dalla Malvasia di Nus al Pinot Nero al Petit Rouge, passando per il Vuillermin, il Fumin e il Mayolet: la cantina Leffrey vuole valorizzare i principali vitigni autoctoni valdostani e ci riesce molto bene. Le fermentazioni sono spontanee, le uve pulite in vigna, i vini non sono filtrati e i solfiti aggiunti sono veramente minimi.
I due vini che vogliamo ricordare sono il Made in VDA, Fumin 100% 2022, che fa un passaggio di 8 mesi in barrique esausta e un affinamento in bottiglia. Violaceo, con sensazioni di amarena, sottobosco e vaniglia. Un vino robusto ma elegante, dotato di una giusta morbidezza e di un tannino setoso.
Il secondo vino è Paideia, un Petit Rouge 100% del 2022. La particolarità di questo vino è che il 10% proviene da uva appassita in vigna. È la ricetta originaria del Torrette, che lo studioso e agronomo Gatta ha tramandato dal 1800, anche se oggi quasi nessuno la segue più. Il naso è veramente intrigante, con note di frutta rossa, cioccolato e caffè. Raffinato all’assaggio, capace di coniugare struttura ed eleganza, con un’ottima persistenza.
Noussan e Leffrey, pur diversi nella storia e nell’impostazione, condividono lo stesso filo invisibile che lega ogni vignaiolo valdostano: la volontà di custodire e raccontare l’unicità di questo territorio. I loro vini sono atti di resistenza culturale, piccole gemme che invitano chi beve a rallentare e ad ascoltare la voce delle montagne.