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Enrico Crippa e il futuro della cucina sostenibile

Cucina e sostenibilità. Per Enrico Crippa e la scelta inizia dai fornelli e dai metodi di cottura ma anche dalle materie prime, rigorosamente del suo orto.

Enrico Crippa si affida a una cucina sostenibile. Da sempre il mantra di questo chef 3 stelle Michelin che a Piazza Duomo di Alba ha il tempo anche di coltivare il suo orto. E di servire ai clienti le verdure coltivate con le sue mani. Tanto da creare un piatto che è subito diventato signature: la mitica “Insalata 21-31-41”. Tra erbe, fiori, foglie e germogli, tanti sono, numericamente, gli ingredienti.

E proprio nelle Langhe, dove tutti i cuochi riuscirebbero a farsi stregare dal terroir circostante, dalla selvaggina, dal tartufo, Enrico Crippa ha saputo ritagliarsi un personale spazio nel quale è riuscito a rispettare territorio, la natura e a essere fedele, in primis, a se stesso.  

Definiresti la tua cucina sostenibile e attenta all’ambiente? Spiegaci cosa significa essere un tre stelle e rispettare queste tematiche.

“Mi piace definire la mia cucina come attenta. Da anni ci dedichiamo all’orto e al reperimento di materie prime prodotte con impatto più vicino allo zero possibile, stessa attenzione che cerchiamo di dedicare anche a tutto il resto cercando di rendere anche il nostro consumo energetico più efficiente grazie ai lavori e ai miglioramenti apportati nel 2014 con la ristrutturazione degli spazi, sebbene, agendo in un contesto storico, ci siano dei grossi limiti”.

Alla ricerca del metodo di cottura migliore, come quella delle braci, che abbraccia la cultura giapponese, ha scelto Anaori, una pentola innovativa che è stata scelta da oltre 20 chef di importanza internazionale nel mondo. Realizzata di grafite di carbonio, minimizza la dispersione dei valori nutritivi degli ingredienti sottoposti a cottura e consente di concentrare il loro sapore originario.

Trovi che ANAORI rispetti la tua filosofia di cucina? Perché la consigli ad altri chef?

“Penso che la Anaori Kakugama sia uno degli strumenti che più mi ha colpito negli ultimi tempi. È versatile per tantissime cotture e mi permette di variare, sperimentare e dare nuove sfumature anche a miei piatti storici. La consiglio proprio per questo: permette di aprirsi a nuovi orizzonti”.

Possiamo dire che, con la tua filosofia, sei lo chef tre stelle Michelin più portato verso una concezione giapponese di cucina?

“Più che una concezione è una parte del mio percorso, ho vissuto in Giappone 3 anni e porto con me l’esperienza di quanto ho visto e vissuto. Sinceramente non amo parlare di filosofia giapponese per la mia cucina quanto, invece, delle influenze che porto con me, come la maniacale attenzione all’ingrediente e alle coreografie dei piatti, aspetti che poi si sono evoluti con me in maniera personale e indipendente”.

Quanto troviamo di Piemonte da Piazza Duomo?

“Tanto, tantissimo. È una regione splendida e ricca di materie prime di eccezione: le carni, la nocciola, i formaggi, il Barolo e poi una ricchezza straordinaria come il Tartufo Bianco d’Alba. Il Piemonte è sempre stato presente, ma quest’anno è entrato in maniera importante anche in una proposta di menù, il Menu del Barolo, appunto”.

Come ti definisci con 3 pregi

“Attento, appassionato, curioso”.

E con tre difetti?

“L’attenzione e la cura che ci metto e che allo stesso tempo richiedo a chi lavora con me possono essere visti come un difetto da un occhio esterno e che non mi conosce!”

Spiegaci come sarà Enrico Crippa tra 5 anni. E tra 10

“E chi lo immagina, non ci penso spesso in realtà. Sicuramente felice di cucinare”.

E per Piazza Duomo, come la immagini?

“Un ristorante in salute e sempre in evoluzione, così come è stato dal 2005 a oggi”.

È stata un’estate particolare? Cosa ti aspetti per il futuro?

“È stata una bella estate in fondo, con un bel flusso di lavoro a Piazza Duomo. Dal punto di vista della situazione globale, quest’estate siamo stati tutti più coscienziosi rispetto allo scorso anno e mi  auguro che quest’autunno non andremo incontro a chiusure improvvise come nel 2020”.

Come ti ha cambiato un anno di pandemia?

“Non mi ha cambiato molto ma mi ha fatto guardare con più attenzione alle cose più vicine a noi che spesso, per i ritmi della vita, rischiamo di lasciare in secondo piano. La cosa più strana è stata la vita in casa, non ci eravamo di certo abituati e quando spendi molto del tuo tempo a contatto con gli ospiti, è stato bello tornare a cucinare per loro”.

Hai difficoltà a trovare nuovo personale in questo anno particolare?

“Non è un momento facile ma nemmeno difficilissimo: con la brigata abbiamo i soliti numeri di staff, curriculum ne arrivano ancora. Quello che manca è la parte internazionale di stage: non ne abbiamo tantissimi ma abbiamo collaborazioni con Spagna e Finlandia che ormai son ferme da due anni”.

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