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Vino

Lungarotti: storia, vino, cucina e ospitalità a Torgiano

Lungarotti

Un museo, un’osteria e un agriturismo ma soprattutto un’azienda vinicola florida guidata da una famiglia che da oltre un secolo si dedica alla vigna. Questa è Lungarotti.

C’è un posto nel quale si possono ammirare insieme reperti della cultura cicladica del III millennio avanti Cristo e una incisione di Picasso, il sacro delle brocche per i riti religiosi e il profano dei vasi con scene amorose, un luogo dove passato e presente si incrociano e si fondono.  È il Museo del Vino di Torgiano, creato esattamente cinquanta anni fa da Lungarotti, famiglia che da quasi un secolo si dedica alla coltivazione delle vigne. Qui, ospitato nel palazzo Graziani-Baglioni del XVII secolo, nel centro della cittadina umbra a pochi chilometri da Perugia, sono raccolti centinaia di reperti provenienti da tutto il mondo, oltre seicento incisioni di artisti vari, ex libris, bicchieri e oggetti che raccontano del rapporto tra vino e uomo. Non il Museo che ci aspetteremmo, con le consuete esposizioni di bottiglie di annate storiche dei produttori, ma un vero e proprio viaggio attraverso la storia.

Il Museo del Vino

Tutto parte dalla passione per l’arte di Maria Grazia Marchetti, moglie di Giorgio Lungarotti (oggi l’azienda è guidata dalle figlie Chiara e Teresa Severini con il figlio Francesco che si occupa della parte commerciale con l’estero), che negli anni ‘70 iniziò a raccogliere oggetti e opere d’arte con l’idea di esporli per illustrare l’importanza del vino nella nostra cultura.

Così oggi, nelle 20 sale dell’esposizione, si trovano brocche cicladiche, un corredo funerario etrusco con la “situla”, un vaso con un filtro per le erbe che dovevano aromatizzare il vino, anfore romane ritrovate in una nave affondata, tazze e le coppe che ne testimoniano l’uso nelle cerimonie sacre. E ancora una raccolta di bicchieri del 1400, un Bacco ebbro del Della Robbia della metà del secolo XVI e, facendo un salto in avanti, una bottiglia disegnata da Gio Ponti e una serie di incisioni tra le quali opere di Annibale Carracci, i fiamminghi, Giovanni Battista Piranesi, Pablo Picasso, Renato Guttuso e Giovanni Fattori. Una raccolta impressionante, tanto che il New York Times lo ha definito il “miglior museo del vino in Italia”.

E quest’anno, per festeggiare il cinquantenario dell’apertura si susseguiranno, all’interno, una serie di esposizioni, tra fotografie e ceramiche, oltre a una mostra grafica dedicata all’artista polacco Andrzej Kot (Lublino 1946-2015), presente con suoi ex libris nella raccolta del MUVIT e famoso in patria per i suoi gatti declinati in centinaia di fantasiose raffigurazioni sul filo dell’ironia. Proprio da una sua opera è tratta la nuova etichetta di una linea di vini monovarietali di Lungarotti battezzata Il Pometo. E se si capita da queste parti all’ora di pranzo o di cena si può fare una sosta all’Osteria del museo, (Corso Vittorio Emanuele II 33, tel. 0755719046) ospitata nelle sale a pianterreno del Palazzo che offre una cucina tipica del territorio ma rivisitata con eleganza.

L’Osteria del Museo e i vini Lungarotti

Tra i piatti da segnalare l’uovo confit, spuma di patate e tartufo di stagione, i tortelli chiusi a mano alle erbette di campo, ricotta di pecora e cicoria, il coniglio picchettato e poi arrosto, con verdure ripassate all’olio e aglio. Vino – e olio – sono ovviamente della cantina Lungarotti che si trova a meno di un chilometro di stanza.

Qui, in un paesaggio segnato da boschi, ulivi e filari di viti si producono due tra i migliori rossi italiani, il Rubesco Riserva Vigna Monticchio e il Sangiorgio: il primo un Sangiovese in purezza, il secondo un blend di Sangiovese e Cabernet Sauvignon.

Due vini che nascono “speciali” già in vigna: siamo di fronte, infatti, a un vero e proprio cru, i grappoli vengono raccolti a mano e i migliori scelti direttamente sulla pianta. Poi vengono mandati in cantina e i due vini seguono un percorso di vinificazione a parte rispetto agli altri.

Tutto nasce in un appezzamento storico – 12 ettari su una collina di 300 metri con un terreno argilloso in una zona molto ventilata – del quale Giorgio Lungarotti capì l’eccezionalità creando già nel 1964 la prima annata del Vigna Monticchio e mettendo le basi di quella che oggi è una sorta di vigna “eterna”: vengono infatti sostituite solo le singole piante più vecchie in modo da avere una continuità di produzione.

Lungarotti

Il risultato è un vino, nel caso del Vigna Monticchio, con una complessità infinita di profumi e piacevolissimo al palato, con tannini che via via negli anni diventano più sottili ma elegantissimi. Un vino destinato a invecchiare – più che bene – e la prova è stata la bottiglia del 1974 degustata: ancora “viva”, con una freschezza che non ci aspetta dopo 50 anni, un naso non troppo intenso ma con un sorso entusiasmante: non c’è niente di superfluo, qui c’è solo l’essenza di quel che la vite ha regalato.

Il Sangiorgio, nel quale vengono usate le stesse uve del Vigna Monticchio, è nato invece nel 1977, come “Super Umbrian” in risposta alle etichette toscane. Ai rossi, tra i quali il Torgiano Rosso Rubesco, si aggiungono i bianchi da chardonnay, grechetto, trebbiano e vermentino. Vitigni che vengono utilizzati anche per la nuova linea della selezione Pometo: vini che fanno solo acciaio, più freschi e destinati a un pubblico più giovane. Da visitare sicuramente la cantina, sempre aperta, dove si viene guidati attraverso le varie fasi della vinificazione, mentre per dormire si può alloggiare nell’agriturismo della famiglia Lungarotti che affaccia direttamente sui filari dell’azienda con la vista che si allarga sulle colline fino a intravedere Perugia.

Artigianalità a Perugia

E nel capoluogo umbro, che dista meno di mezz’ora in auto, vale la pena di fare una sosta per ammirare, oltre alle bellezze storiche, due autentiche chicche, due botteghe artigianali che proseguono tradizioni centenarie, entrambi guidate da donne. Il primo è lo studio Moretti-Caselli, un museo laboratorio di vetrate artistiche (visite guidate su prenotazione 075/5720017; 3407765594), che si trova in un palazzo del quattrocento. Maddalena Forenza prosegue l’attività del nonno che iniziò nel 1860 a produrre vetrate dipinte e cotte a fuoco con una tecnica assolutamente unica. E oggi, nelle stanze piene ancora di opere della famiglia – tra cui una vetrata a grandezza naturale che ritrae la Regina Margherita di Savoia di fronte alla quale si rimane letteralmente a bocca aperta – l’ultima discendente illustra le tecniche centenarie con le quali continua a realizzare le sue opere e a fare restauri.

L’altra bottega artigianale è quella di Giuditta Brozzetti (aperta al pubblico dal lunedì al venerdì 8,30-12,30, sabato e domenica su appuntamento 075/40236; 3485102919). Qui si prosegue invece la tradizione della tessitura a mano del Settecento e Ottocento, usando ancora telai in legno dell’epoca tra i quali una vera e propria “macchina-computer” del 1801, perfettamente funzionante. Con questa tecnica venivano realizzate le “tovaglie perugine” che nel Rinascimento erano apprezzate e conosciute in tutta Europa, tanto che un esemplare è raffigurato nel Cenacolo di Leonardo Da vinci. E Giuditta Bronzetti ne ha realizzata una identica usando i suoi telai e riproducendo esattamente il disegno del quadro.

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