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Maurizio Lauriola e la sua cucina fusion in Alto Adige

Maurizio Lauriola, lo chef del Bonfanti Design Hotel di Chienes, racconta la sua visione sul futuro della cucina.

Maurizio Lauriola è lo chef del Bonfanti Design Hotel di Chienes, in Val Pusteria. 35 anni, pugliese, nella sua cucina riesce a creare una fusione tra la sua cucina mediterranea (si può trovare burrata, caciocavallo, treccioni di bufala dalla Puglia e pesce da Termoli) da abbinare a ingredienti altoatesini (cervo, capriolo, speck e formaggi dei masi). Ama molto sperimentare e non smette mai di studiare, di pensare ai piatti.

Come definiresti la tua cucina?

Una cucina semplice, raffinata e inusuale. Semplice perché molto spesso utilizziamo materia prima alla portata di tutti, certo con lavorazioni e processi studiati ad hoc nel rispetto dell’ingrediente base.
Raffinata perché sia i tagli sia la preparazione e la presentazione vengono elaborati in modo da ottenere un risultato finale che coinvolga tutti i sensi.
Inusuale perché c’è una continua ricerca di accostamenti di ingredienti che, pur nella loro semplicità, non ti aspetti di trovare in una stessa pietanza o con una determinata texture”.

Come si definisce Maurizio Lauriola con tre pregi?

“Senza dubbio la pazienza, soprattutto in cucina. È importante quando si lavora riuscire a trasmettere alla brigata il giusto mix di tranquillità e adrenalina tenendo alta la concentrazione e più basso possibile lo stress.
Un altro pregio è l’umiltà. Che la cucina non sia un posto per tutti è chiaro, ma negli ultimi anni purtroppo troppi show televisivi hanno mostrato lo chef come una sorta di gladiatore in una gabbia di leoni, alimentando nei giovani quei concetti di sfida, superiorità, astuzia, egoismo e non-confronto che sono molto dannosi allo spirito di squadra che invece deve esserci in cucina. Non bisogna mai sentirsi arrivati al traguardo, bisogna capre che si può imparare qualcosa anche dall’ultimo arrivato, che sia un comì o plongista, e bisogna rispettarlo. Terzo pregio, il coraggio. Penso che per distinguersi sia necessario osare, rischiare, uscire dagli schemi e dal proprio perimetro, provando e sbagliando ma senza arrendersi mai”.

Come ti definisci con tre difetti?

“Sono molto autocritico, ci metto molto ad accettare errori che penso
potevano essere evitati, ma cerco di cogliere in ogni passo falso un’occasione di crescita”.

Come ti ha cambiato un anno di pandemia?

“Il 2020 è stato un anno che non scorderemo facilmente, questo è chiaro. Quando tutto cominciò eravamo in piena stagione, i primi casi, le prime ipotesi, non avevamo idea di cosa si andava incontro. Ritrovarsi in poco tempo a chiudere un “sistema albergo” in pochissimi giorni, mettere in sicurezza per quel che si poteva gli alimenti, le conserve in generale, salutarsi in modo affrettato e approssimativo con i collaboratori, senza nessuna stima della durata o data di ripartenza, la paura del contagio, la mancanza di coesione sociale. Un senso di precarietà indefinita.

Credo che ciò che mi ha lasciato questo anno di pandemia sia proprio il fatto che non bisogna avere troppa certezza di quello che facciamo, di quello che siamo, di quello che abbiamo attorno, perché ci sono fattori indipendenti dalla volontà umana, al di sopra delle nostre possibilità, che non possono essere controllati e gestiti come vorremmo. È sempre
la Natura che controlla tutto e da lei dipendiamo, per questo credo fortemente che bisogna rispettarla. L’uomo sta marciando in senso contrario a quello che la Natura vorrebbe. Io cerco nel mio piccolo di applicare questo concetto di rispetto anche in ambito lavorativo,
coi miei collaboratori, cercando di limitare quanto più possibile gli sprechi, l’inquinamento, il consumismo eccessivo”.

Cosa ti aspetti dal futuro?

“In un momento particolare come questo il settore della ristorazione, e dell’ Ho.Re.Ca in generale, è senza dubbio quello che farà più fatica a trovare un modo nuovo di stare sul mercato, perché dovrà essere in grado di coniugare le scrupolose normative in atto e le esigenze dei consumatori sempre più attenti in termini di sicurezza e comfort. Sicuramente una chiave per affronatre al meglio il futuro è investire nel rapporto con il cliente,
conquistare la sua fiducia, e quindi valorizzare l’esperienza stessa diventa ancora più importante di prima, puntare sulla qualità del servizio e dei prodotti offerti. Una cosa è certa: la ristorazione non morirà perché il piacere di stare seduti a tavola con amici o parenti, mangiare e bere bene, appartengono alla natura dell’uomo”.

Quanto il territorio è presente nel menu di Maurizio Lauriola e quanto invece c’è delle tue esperienze?

“Sicuramente portare a tavola tradizioni e tipicità del territorio è doveroso e rientra nelle aspettative del cliente. Ciò non preclude che si possa trovare anche una connessione con la propria terra di origine o con le esperienze passate. Si studiano comunque nuove proposte e presentazioni sempre vicine alla ricetta base ma con un diverso metodo di preparazione.

Per esempio, nel nostro menù c’è il “canederlo leggero” fatto con gli stessi ingredienti del classico canederlo ma realizzato in spuma, con la medesima forma a sfera e poi pralinato con una polvere grossolana di speck essiccato:
il sapore è quello del canederlo classico ma la consistenza è diversa, si scioglie in bocca. Oppure, il “cannolo di patate rösti con panna acida aromatizzata al muschio quercino e trota salmonata marinata e affumicata”, o il “tacos simil-Schüttelbrot con finferli, speck di anatra e una mousse al rafano”: ricette e ingredienti tipici del territorio ma ripensati in
chiave… design.

Un altro esempio delle nostre proposte sono dei “troccoli” (spaghetti quadrati tipici del Gargano, la mia terra di origine) fatti con un impasto con gli stessi sapori del tipico pane nero di montagna, mantecati con cime di rapa (che mi riportano in Puglia) e bottarga di muggine. Mi piacciono i piatti che racchiudono in qualche modo il mio essere, ma in
generale diciamo che dal territorio ricevo la materia prima, dall’esperienza invece la tecnica di lavorazione, acquisto della materia prima e ovviamente la gestione di servizio”.

Quale pensi sia il futuro per una ristorazione più alta?

“L’alta ristorazione rimarrà tale, ma ci sarà una selezione naturale, ad una velocità superiore del normale. Sopravviverà chi avrà saputo meglio affermare la propria personalità e preparazione, chi avrà più convinto e soddisfatto la propria clientela che ritornerà e farà il passaparola, e chi ovviamente avrà saputo ottimizzare al meglio le proprie risorse. Forse il Covid ha amplificato questi concetti ma non ne ha modificato la verità già esistente”.

E la troveremo solo in hotel o anche in strutture importanti?

“Credo che questi concetti siano la base per qualunque hotel o ristorante che abbia delle ambizioni”.

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