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Sea Signora apre a Milano: dalla Russia con amore

Sea Signora, la nuova rotta del mare e la nuova apertura milanese di Antonio Fresa.

C’è un’aria diversa a Milano. Non solo nelle nuove aperture, ma in un certo modo di ripensare la cucina contemporanea. Non più solo estetica e storytelling, ma gestione, calcolo, margine, efficienza, senza tradire l’anima del piatto.

Al centro di questo cambio di paradigma c’è Antonio Fresa, chef pugliese, musicista mancato e cuoco per destino, che con il nuovo progetto Sea Signora porta in città un concetto radicale: un ristorante di mare dove tutto è pensato al grammo, dal cappero al brodo, ma ogni dettaglio racconta il Mediterraneo come sentimento.

Non è solo un locale — dice Fresa — è una mentalità. Per anni abbiamo vissuto la ristorazione come un atto romantico, quasi sacrale, ma insostenibile. Ora serve lucidità: voglio che ogni piatto, ogni gesto, ogni spreco evitato abbiano senso economico e poetico insieme.”

Dalla Puglia al mondo

Antonio Fresa

Fresa nasce in Puglia, cresce tra il mare e l’olio buono, ma la sua traiettoria professionale lo porta presto lontano. Dopo esperienze in Asia, in Australia e collaborazioni in Russia, dove gestisce diversi progetti gastronomici (tra italiani, israeliani e asiatici), torna in Italia con la volontà di creare un modello nuovo.

“Lì ho imparato il rigore. In Russia il massimo di dividendi è il 13%, e il totale delle tasse non supera il 25%. Ti obbliga a pensare: non puoi permetterti sprechi, e ogni risorsa — umana o materiale — deve essere valorizzata.”

Il suo rientro coincide con la voglia di aprire un ristorante che parli del mare in modo sensuale ma controllato, dove il lusso non è più l’eccesso, ma la precisione.

Il nome e l’anima

Il nome nasce da un gioco linguistico e culturale. “Signora” è un titolo di rispetto, ma anche di mistero e di accoglienza. “Sea”, in inglese, amplifica l’universalità del concetto. Sea Signora diventa così un’idea di mare femminile, elegante, profondo, che avvolge e non urla.

Il locale è pensato come un salotto acquatico: luci che si abbassano ogni ora grazie alla domotica, sedute leggermente più basse — tre centimetri in meno del normale — per creare un senso di abbraccio e protezione. L’atmosfera cambia con la musica: un DJ set leggero il venerdì e sabato, suoni che accompagnano e non dominano, “come un respiro di fondo del mare”, dice Fresa.

Dietro il bancone, il drink cost è calcolato all’11%, un’altra cifra che racconta la filosofia del luogo: rigore tecnico al servizio del piacere.

La cucina al grammo: arte e ingegneria

Fresa ha una parola chiave: precisione. “Il food cost è al 15%, calcolato tutto al grammo. Anche il sale e il ghiaccio fresato a mano.”

Il menu di Sea Signora si muove tra tradizione mediterranea, influenze asiatiche e suggestioni africane.

Il branzino all’acqua pazza è uno dei simboli: “Lo pago 16 euro al chilo, ma lo valorizzo con una salsa di datterino, capperi e olive taggiasche, dosata perfettamente. Poi allungo con brodo calcolato in produzione: niente sprechi, solo bilanciamento.”

Altri piatti seguono la stessa logica:

  • Patatina con cozza, piatto apparentemente semplice ma geniale: food cost 1 euro, prezzo in carta 18.
  • Tonno tonnato di tonno rosso, il “signature dish” della casa, con produzione interna di limoni salati maturati da un anno e mezzo.
  • Sperma di tonno, ingrediente raro e volutamente provocatorio, che diventa una crema salmastra e setosa, emblema della filosofia di Sea Signora: coraggio e intelligenza insieme.

Non esiste piatto che non sia giustificato — dice lo chef —. Se qualcosa costa tanto, deve raccontare un’emozione. Se costa poco, deve stupire con il pensiero.”

Sprechi zero, premi a chi controlla

Una delle innovazioni più forti è nel modello gestionale.

Ogni prodotto, ogni scarto, ogni consumo è tracciato da un sistema digitale di inventario. Gli chef e i camerieri controllano direttamente i propri scarichi e, in cambio, ricevono bonus e incentivi per la riduzione degli sprechi.

“È un modo per responsabilizzare tutti. Non è solo il mio ristorante: è di chi lo fa funzionare.”

Fresa vuole trasformare la cultura del lavoro nella ristorazione italiana: “In troppi pensano che il personale sia solo un costo. Io dico che è un investimento. Ma serve metodo. Pago due volte al mese, il 10 e il 25: aiuta a gestire meglio le spese, sia per me che per loro. E divido le mance tra tutti, anche i lavapiatti e l’ufficio. Chi cucina guadagna di più, ma nessuno resta escluso dal successo.”

 Lo staff e la formazione

Lo chef Roberto Godi

A capo della sala, Alessandro Orlandini, ex Casa Brera e con un passato nel Dandelion, speak easy milanese cult degli anni ’90.

In cucina, Roberto Godi, 31 anni, curriculum internazionale tra Asia e Australia, esperienza con Martin Benn (Jamie’s Oliver Group) e periodi formativi tra Indonesia, Marocco e Hermitage di montagna.

“Roberto porta con sé una visione globale, e il suo modo di lavorare è perfettamente allineato con il mio,” dice Fresa. “Abbiamo la stessa idea: il Mediterraneo è un luogo aperto, dove anche un tajin marocchino può dialogare con un risone italiano.”

Il menu è infatti un viaggio:

  • Mignon di goro del delta e ostrica francese come benvenuto.
  • Risone di pasta cotto come un farro, frullato per ottenere la stessa texture cremosa del risotto, ma senza amido.
  • Caviale proposto in abbinamenti contemporanei, spesso “regalato”, come racconta Fresa, “perché alcuni prodotti non si vendono, si raccontano.”

Il servizio è pensato come uno spettacolo gentile. Alcune preparazioni avvengono al tavolo, con carrelli e flambé, “un omaggio alla vecchia scuola,” spiega Fresa.

C’è perfino un’acquasantiera all’ingresso, ma al posto dell’acqua contiene scamponi e astici blu vivi, in un gioco di rimandi tra sacro e marino.

La mise en place è minimalista, le divise del personale firmate Prada, costo 110 euro a divisa, “ma è un investimento in immagine e dignità.”

Nel laboratorio interno si trovano un distillatore domestico e un rotovapor (evaporatore rotante) proveniente da un aroma lab di Perugia, strumenti che permettono di estrarre essenze e distillati da ingredienti locali: limone, burro della Florida con panna e sale, latticello dolce.

L’eredità russa e la mentalità imprenditoriale

Uno dei personaggi chiave dietro le quinte è Arkady Pekarevsky, suocero di Fresa, nome di peso nell’imprenditoria russa, tra i top Forbes. “Non è socio diretto, ma è un mentore,” dice lo chef. “Mi ha insegnato la mentalità dell’efficienza: in Russia il costo personale è più basso, ma il livello di professionalità è altissimo. Da loro ho imparato che la qualità non si misura in quanto spendi, ma in come calcoli.”

Fresa porta in Italia questa mentalità, adattandola alla sensibilità mediterranea.

Sea Signora diventa così una sintesi: il rigore del Nord con il cuore del Sud.

Un ecosistema in espansione

Il progetto non è isolato. Fa parte di un network di ristoranti e format ideati da Fresa e soci tra Italia e Russia:

  • Tre ristoranti israeliani a Mosca;
  • Quattro italiani, tra cui una trattoria, un classico elegante con carrello e flambé, un ristorante di pesce e un asiatico omakase con riso giapponese invecchiato sette anni;
  • Una Korean Bakery, in arrivo a ottobre, con gelato soft servito dentro mezzi croissant, pensata per un pubblico giovane e internazionale (e già in cantiere una franchising da 25 punti vendita).

Dopo Sea Signora, Fresa ha già pronto il prossimo passo milanese: Il Signorina, versione più leggera e medio-orientale del concept attuale. “Sarà un ristorante di agnello, meze, salse e pasta italiana, dove il Mediterraneo incontra il Levante.”

Intervista: Antonio Fresa, il calcolo dell’emozione

Antonio, cos’è per te Sea Signora?

“È la mia seconda vita. Dopo anni di lavoro in giro per il mondo, volevo un posto che fosse mio non solo nella cucina, ma nel metodo. Un luogo dove si possa guadagnare onestamente senza perdere poesia. In Italia paghi tasse, contributi, costi di personale altissimi. Troppo spesso chi fa ristorazione lavora solo per sopravvivere. Io ho deciso di cambiare mentalità: meno sprechi, più controllo, ma anche più felicità per chi lavora con me.”

Hai un approccio quasi scientifico. Non rischia di togliere magia?

“Al contrario. La magia è nella precisione. Quando sai che 2 grammi di capperi e 10 di olive taggiasche creano l’equilibrio perfetto, hai libertà assoluta. La cucina è musica: ogni nota deve essere al posto giusto. Il caos romantico non è creatività, è inefficienza.”

Cosa significa “lusso” per te oggi?

“Non è caviale o ostriche. È sapere che ogni persona nel tuo locale guadagna bene, che non butti nulla, che ogni cliente esce felice senza sentirsi preso in giro. È l’eleganza del controllo. Sea Signora non è un ristorante costoso, è un ristorante intelligente.”

E la sostenibilità?

“È reale solo se è economica. Se non guadagni, non puoi durare, e se non duri, non sei sostenibile. Il mio food cost al 15% non è avidità, è garanzia di stabilità. E i bonus sugli sprechi trasformano tutti in imprenditori: la cucina e la sala diventano una squadra che pensa insieme.”

Milano sembra il luogo ideale per questo tipo di progetto.

“Sì, perché Milano è matura. Ha capito che l’esperienza vale più del decoro. Qui la gente cerca verità, non solo tendenza. E poi Milano è una città che ti ascolta, se hai qualcosa di nuovo da dire.”

Cosa hai portato dall’esperienza russa e asiatica?

“La disciplina. Lì nessuno ti perdona un errore. Ho lavorato con persone che controllavano tutto, dai grammi di sale ai secondi di servizio. Ma anche la capacità di divertirsi. I russi, in fondo, amano la teatralità. Io ho unito il loro rigore alla nostra empatia. È questo l’equilibrio di Sea Signora.”

Hai citato più volte la parola “mentalità”. Cosa significa per te?

“Significa cambiare punto di vista. Non è solo questione di cucina, ma di cultura del lavoro. In Italia siamo abituati a lamentarci di tasse e costi, ma continuiamo a lavorare come vent’anni fa. Io voglio dimostrare che si può essere artisti e imprenditori insieme. È una rivoluzione silenziosa, ma necessaria.”

 Il futuro

Sea Signora non è solo un ristorante, è un laboratorio. Fresa lo considera un modello replicabile, un “format di pensiero” più che di design.

“Non voglio fare catene, ma creare sistemi che funzionano. Ogni dettaglio, dal flusso delle luci al costo del burro, è parte di una logica. Ma la cosa più importante è che le persone che ci lavorano siano felici. Solo così puoi avere costanza.”

Il sogno è costruire un gruppo internazionale di ristoranti con un’identità comune: Mediterraneo contemporaneo, efficienza russa, cuore italiano.

“Il mare unisce, non divide. È un’idea che voglio portare ovunque.”

“Alla fine — dice sorridendo — la cosa più bella è vedere una persona che assaggia e chiude gli occhi. In quel momento, tutto il calcolo, tutti i numeri, spariscono. Resta solo il mare.”

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