Magazine di ristorazione e itinerari enogastronomici
Notizie

Zuppa di Mare e Memoria: la Mazzumàja di Civitavecchia

Mazzumàja

Mazzumàja: il gusto del mare povero che diventa ricchezza di sapori, tradizioni e storie da raccontare.

C’è un momento, quando si cammina lungo il porto di Civitavecchia, in cui l’aria cambia. Non è solo salsedine. È un profumo denso, avvolgente, che parla di padelle fumanti, di voci di pescatori, di gesti tramandati con naturalezza, come se il tempo lì avesse deciso di rallentare. È il richiamo della Mazzumàja — non solo un piatto, ma un rito.

Il nome nasce dal gergo dei pescatori locali: così si chiamava quella parte del pescato considerata “di poco valore”, troppo piccola, troppo rovinata, troppo mista per finire sui banchi del mercato. Eppure, era proprio quella “massa di pesci poveri” che diventava il cuore della cucina di casa. Un tesoro umile, che ogni famiglia trasformava in zuppa, calda, intensa, generosa.

Sui pescherecci, spesso, la Mazzumàja veniva cucinata direttamente a bordo: un fuoco improvvisato, un pentolone, e il profumo che si mescolava alla brezza marina. Non esisteva una ricetta precisa, ma solo regole non scritte dettate dall’esperienza e dal mare. Bastava quello che c’era: pesciolini appena presi con le nasse o con le reti, qualche ortaggio conservato, un po’ d’aglio, pomodoro, cipolla, carote, zafferanella, aceto, vino. E pane, ovviamente.

La preparazione era lenta, fatta di attenzione e di pazienza. Prima il fumetto, un brodo ristretto ottenuto dai pesci più piccoli, cotto a lungo fino a estrarne l’anima. Poi, una volta filtrato, diventava base per cuocere i pezzi più pregiati. Un’esplosione di gusto che raccontava più di mille parole.

Ma la Mazzumàja non è solo cucina. È identità. È il riflesso di una città nata e cresciuta sull’acqua, che ha accolto popoli e sapori da tutto il Mediterraneo. Civitavecchia, con il suo porto millenario, è crocevia di culture e di cucine: influenze francesi, arabe, liguri, napoletane si fondono in un piatto che resta, comunque, profondamente locale.

Ogni regione d’Italia ha la sua zuppa: cacciucco, ciuppin, brodetto, buridda, ghiotta, quatara. Ma quella civitavecchiese ha qualcosa di più: una storia che pulsa ancora tra i vicoli, nelle chiacchiere degli anziani, nei libri della Società Storica Civitavecchiese, grazie al lavoro appassionato di Enrico Ciancarini e Giorgio Corati.

Persino il cinema ha reso omaggio a questa tradizione: nel film Il Sorpasso, Vittorio Gassman la ordina proprio di fronte allo scalo delle crociere, come se anche la pellicola volesse prendersi un momento per assaporare la storia.

Oggi la zuppa di pesce di Civitavecchia è riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT) – grazie al lavoro della Società Storica Civitavecchiese, presieduta da Enrico Ciancarini e con il contributo di Giorgio Corati -, ma più ancora è un’esperienza.

Una tazza fumante che sa di mare, di fatica, di casa. Un invito a rallentare, a sedersi, ad ascoltare i racconti che si intrecciano tra un cucchiaio e l’altro. Per comprenderla davvero, bisogna assaggiarla sul posto. Magari in una piccola trattoria sul porto, con il rumore delle onde in sottofondo e un bicchiere di vino bianco accanto. Solo allora si capisce che la Mazzumàja non è semplicemente una zuppa: è il mare che si fa memoria.

foto copertina: italianomagazine.it

Articoli correlati

Guida alle migliori Gelaterie d’Italia 2017

Francesco Gabriele

La Stagione delle Terrazze: 47 Circus, la Terrazza Montemartini e la Sky blue Terrace / terza parte / ogni venerdì

Sara De Bellis

“Luci”, il primo Metodo Classico rosè da uve Lucignola

Manuela Zanni