A Castel Monastero, borgo medievale del XI secolo a metà strada tra Siena e Arezzo, c’è aria di novità. A guidare la cucina è arrivato lo chef Marco Leonelli.
Castel Monastero è un unicuum di bellezza: in uno dei paesaggi più belli d’Italia, tra vigneti, colline di grano e filari di cipressi, un piccolo borgo medievale dell’XI secolo, dedicato all’arte dell’ospitalità. A metà strada fra Siena ed Arezzo conserva le tracce del suo passato tutt’ora evidenti: in origine sperduto monastero, avvolto solo dal silenzio e dalla pace delle colline toscane, poi buen retiro della nobile famiglia senese dei Chigi
Saracini.
Marco Leonelli, umbro di origine con importanti esperienze internazionali, tra cui al “Pollen Street Social” di Londra (1* Michelin), poi il “Cappero” del Theresia Resort Isola a Vulcano, sulle Isole Eolie e “Al Fresco” di Milano, offre due tipi di proposte, dove l’anima toscana la fa da padrone.
Al Ristorante La Cantina, le materie prime vengono esaltate nella loro purezza senza essere contaminate da complesse rielaborazioni. Più strutturato l’approccio del Ristorante Contrada, con piatti di foggia contemporanea ma fortemente legati al territorio e alla tradizione, con l’aggiunta di tocchi internazionali.
Entrambi i ristoranti, aperti anche agli ospiti non residenti, hanno un importante comune denominatore: l’utilizzo di prodotti rigorosamente a chilometro zero.
Questa la nostra intervista allo chef.
Tre aggettivi per descriverti post pandemia
“Mi sento sempre come la prima volta che sono entrato in una cucina professionale: innamorato dei gesti, della forza, della concentrazione e dell’eleganza con cui certi professionisti affrontano il mio lavoro. Mi sento vorace, affamato del tempo passato tra i fornelli, delle nuove tecniche o dei nuovi piatti da provare. Calmo: come il buon padre di famiglia che conosce tutti i problemi della quotidianità, ma ha solo serenità e sorriso sul volto non appena torna a casa”.
Come pensi cambierà il mondo della ristorazione? Quali sono le nuove esigenze?
“Il mondo della ristorazione è profondamente confuso e agitato ma spero e penso che come me ogni professionista rimanga sempre innamorato del suo lavoro e del rapporto che crea con le persone. Come spiegare la magia di vedere i piatti perfettamente preparati e allo stesso tempo perfettamente divorati dai clienti, la bellezza di accarezzare la sfoglia della pasta appena fatta, la tranquillità dell’odore della cipolla caramellata?”
C’è voglia di tornare al ristorante? Quali sono le soluzioni alternative che hai trovato in questo anno e nel 2020?
“C’è assolutamente voglia di tornare al ristorante. C’è voglia di convivialità, di “famiglia” se mi permette l’analogia forse un po’ pericolosa, ma spero feconda, perché questo senso figurato di accoglienza è un la direzione che sta prendendo il mondo ristorativo e non solo.
Non possiamo prescindere da una globalizzazione dei popoli e dei saperi ormai già in essere grazie all’evoluzione esponenziale della tecnologia, ma proprio questa che sembrava agli inizi minare le fondamenta morali della società, si è rivelata la molla grazie a cui oggi troviamo soluzioni ai problemi della sostenibilità, dell’equità sociale ed economica.
Ecco che da questa ricerca parte la mia riflessione sulla ristorazione di oggi e di domani. Il senso di famiglia, di appartenenza, di rispetto di tradizione e territori è la nuova direzione e la soluzione che, in senso personale e globale, la ristorazione sta maturando”.
Quali sono le prospettive e le soluzioni per il futuro della ristorazione?
“L‘unica soluzione possibile è stata una grande versatilità sia negli riflessi economici che strutturali della proposta ristorativa. Trovando anche nella clientela, nei colleghi e con le società una spalla con cui condividere questo percorso”.