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Antonio Biafora e il futuro della ristorazione gourmet della Sila

Antonio Biafora

Antonio Biafora durante la pandemia investe per realizzare un resort gourmet nel cuore della Sila, e Hyle vola verso la sostenibilità

Antonio Biafora ha lasciato da tempo il terreno sicuro e si è avventurato nella Sila, la fredda e impervia Sila. Fare ristorazione di livello a San Giovanni in Fiore, è una vocazione. E realizzare anche un proprio orto dove attingere a tutti i prodotti della cucina, quando qui il clima è così rigido da gelare anche durante le notti d’estate, sembra pazzia.

Ma Antonio Biafora, il giovane che ha preso le redini del resort di famiglia, trasformandolo anche in spa e ristorante gourmet, ha bene in mente il suo progetto per far diventare questa località montana una destinazione. Solo quattro tavoli per realizzare un servizio impeccabile.

Si chiama Hyle, materia, dal greco antico. Il ristorante ripercorre la “via della pece”, ovvero la pece bruzia, materia prima preziosa dai mille usi: medicina, ingegneria navale, artigianato, conservazione. La estraevano i boscaioli dal tronco del pino laricio incidendo canali a lisca di pesce. Così, riscoprendo un’antica e nobile usanza, Biafora ha ripercorso questa via, che parte dalle colline sul mare e arriva in cima alle montagne. Un percorso breve che però comprende un territorio fertile e ricco di materie prime diverse, individuando agricoltori, allevatori e piccoli produttori e attiva una catena di sostenibilità economico-sociale.

E Hyle è uno dei migliori ristoranti ad alta quota d’Italia, anche se non lo si pensa mai, della Calabria. Due i menu da cui scegliere: Pùzaly che racconta la storia di Hyle, partendo dalle materie prime del territorio, come “Pipi arrustutu”, o il Riso caprino, ginepro e polvere di porcinim, o ancora la Quaglia, cacciatora ed erbe del giardino; e Chjùbica, che libera all’ennesima potenza l’estro dello chef.

La selezione di vini autoctoni e locali e grandi etichette completa un’esperienza raffinata, quasi inaspettata sulla Sila, molto meglio del “sentito dire”. E ci sarà anche un’evoluzione: il resort con spa che presto da 4 stelle passerà a 5: “La mia idea è quella di riuscire a far sì che la Sila e San Giovanni in Fiore diventi un luogo di relax e una destinazione turistica. Qui l’aria è pulita e il resort è circondato da un bosco di numerosi ettari: la Calabria deve essere conosciuta anche per questo, non è solo mare” racconta Antonio Biafora. E l’obiettivo è quello di espandersi e puntare sempre più in alto, con percorsi naturalistici per gli ospiti, condividendo la raccolta di fiori nel bosco, della frutta dagli alberi e dei prodotti dell’orto dalla serra. Realizzare un’oasi di pace e relax in Sila. 

In tre parole, cosa significa fare ristorante gourmet in Sila.

“Creare un’offerta di fine-dining a 1300mt slm in una regione a completa vocazione “marittima” è una sfida non solo personale, ma di territorio”.

Tre pregi e difetti di Antonio.

“Testardo perché non mi arrendo mai, da buon montanaro calabrese. Meticoloso, perché pretendo sempre il massimo da me e dagli altri. Eterno insoddisfatto, perché tendo sempre a mettere in crisi tutto ciò che faccio e che fa chi percorre il cammino insieme a me. Sognatore perché penso che la Calabria possa fare davvero tanto ancora. Curioso perché mi piace osservare, capire, montare e smontare tutto ciò che vedo e che incontro. Umano, perché penso che lo spirito di gruppo sia l’unico modo per poter fare grandi cose”.

È stata un’estate particolare, cosa ti aspetti per il futuro?

“Questa come la scorsa, sono state stagioni “strane” nel senso che non posso rientrare in un calcolo statistico. Abbiamo avuto momenti di forte calo, ma anche di altissima richiesta, entrambi i dati non sono reali perché viziati il primo dalla paura e il secondo da una grande voglia di tornare alla normalità. Per il futuro mi auguro che un territorio “nascosto” come il mio sia in grado di accendersi e rendersi appetibile per il un pubblico che cerca nella natura incontaminata la vacanza ideale”.

Da quando hai cambiato la tua offerta, puntando sempre più verso un’offerta gastronomica, quali sono state le maggiori soddisfazioni? Quali le delusioni?

“Certamente iniziare ad approcciarsi al cibo non solo con la pancia ma usando la testa ha destabilizzato tanto la clientela storica della mia struttura. Avevo la necessità di farlo però, per giustificare il mio stare in Calabria e per provare, nel mio piccolo, a dare giustizia a questo territorio. I primi anni sono stati massacranti sia economicamente, ma ancor di più psicologicamente. Crescendo ho imparato a limare le spigolosità di questa scelta così radicale ed imparato a differenziare i segmenti della mia offerta senza snaturare il mio pensiero. Oggi quindi ho tre cucine differenti: Hyle, il bistrot tavola XXIII e gli eventi”.

Si fa rete tra gli chef della Calabria?

“Questa è stata la mia fortuna. Ho conosciuto, soprattutto grazie a coking-soon ragazzi con il mio stesso sogno, con cui condivido giornalmente gioie, dolori, successi ed insuccessi con lealtà e trasparenza, come se fossi una grande famiglia, probabilmente con un legame ancora più forte di un legame di sangue”.

Spiegaci come sarà il Biafora Resort tra 5 anni. E tra 10 anni.

“Prima di essere un cuoco devo essere un imprenditore e per fortuna la mia storia familiare in questo è dalla mia parte. Abbiamo attivato un progetto decennale che stravolge la nostra struttura e che “chiuderà il cerchio”. Non posso svelare nulla per non spararmi tutte le cartucce. Se riuscissimo a mettere in pratica tutto quello che abbiamo in testa, sarà qualcosa di davvero bello per il nostro territorio”.

Sei un autodidatta, ma quali sono stati i tuoi Maestri nella cucina o da chi hai preso ispirazione?

“Sono autodidatta a metà, nel senso che avrei voluto fare molte più esperienze, ma per esigenze aziendali non ho mai potuto. Mi sono diplomato all’Alma, anche se ho indossato la mia prima giacca a 26 anni. Gli insegnamenti del maetro Marchesi, allora abbastanza presente a scuola, di Luciano Tona, Silvio Salmoiraghi e Marco Soldati, hanno influenzato profondamente il mio modo di approcciarmi alla cucina. Tra le esperienze più importanti, o meglio più caratterizzanti ci sono state quelle con Francesco Bracali e Frank Rizzuti. Ma la vita quotidiana, il confronto con colleghi e con i miei collaboratori e le tante cene in giro per il mondo, hanno forgiato il mio modo di essere”.

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