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La cucina italiana è Patrimonio Unesco

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La cucina italiana è Patrimonio culturale immateriale Unesco: riconoscimento storico a un sistema che unisce territori, filiere e comunità

La cucina italiana è stata iscritta nella Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’umanità, al termine della riunione del Comitato intergovernativo Unesco a Nuova Delhi. La decisione riguarda la candidatura “Cucina italiana: sostenibilità e diversità bioculturale”. Presentata nel 2023 dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Agricoltura, la proposta ha ottenuto prima una valutazione tecnica positiva il 10 novembre 2025, quindi il via libera politico nella sessione di dicembre.

Secondo il dossier approvato, la cucina italiana non viene rappresentata come un elenco di piatti simbolo ma come un sistema culturale complesso, che tiene insieme tradizioni regionali, cicli stagionali, biodiversità agricola, convivialità e pratiche di condivisione legate al cibo. L’Unesco sottolinea che cucinare “all’italiana” è una forma di cura per sé e per gli altri, un linguaggio attraverso cui si esprimono memoria, identità e legami affettivi, in un’ottica che valorizza anche l’attenzione a sprechi ridotti e all’uso responsabile delle risorse naturali.​

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Una candidatura costruita come “arte di vivere”

La candidatura della cucina italiana è stata impostata fin dall’inizio come racconto di una “arte di vivere” quotidiana, diffusa nelle case e nei luoghi di socialità, e non circoscritta a un singolo rito o a una specifica ricetta. Nel progetto coordinato dai dicasteri competenti hanno trovato spazio pratiche che vanno dalla scelta degli ingredienti locali ai gesti ripetuti in famiglia, fino al ruolo dei pranzi collettivi nelle ricorrenze, lette come tasselli di un patrimonio vivente che si rinnova a ogni generazione.​​

In questa cornice, pasta, pizza, risotti o altre preparazioni emblematiche sono considerati espressione di una trama molto più ampia, che comprende la biodiversità delle produzioni agricole, le stagionalità, le tecniche artigianali e il valore attribuito alla tavola come luogo di incontro tra persone di età e provenienze diverse. Il riconoscimento Unesco arriva dopo altri ingressi italiani legati al cibo, come la dieta mediterranea o l’arte del pizzaiuolo napoletano, ma per la prima volta riguarda l’intero modello culinario di un Paese, riconosciuto nella sua interezza.

Numeri, primati e posizionamento della cucina italiana

Con l’ingresso della cucina italiana, gli elementi nazionali iscritti nella Lista del patrimonio immateriale salgono a 20, all’interno di un quadro che conta circa 800 elementi riconosciuti in 150 Paesi. Già prima di questo passaggio l’Italia contava 19 voci nell’elenco, oltre a un elemento inserito nel Registro delle Buone Pratiche di Salvaguardia. Questo ulteriore riconoscimento è conferma di una presenza consolidata nella geografia culturale dell’Unesco.

Il nuovo riconoscimento si somma ai siti materiali già tutelati e consolida il ruolo del Paese come riferimento nel settore agroalimentare, in cui imprese e filiere sono percepite come ambasciatrici non solo di prodotti, ma di un certo modo di intendere la società e le relazioni. Nel dossier si ribadisce inoltre che la cucina italiana viene considerata inclusiva, capace di superare barriere culturali e generazionali. Non ultimo, l’adesione a principi come il contenimento degli sprechi e la riduzione del consumo di risorse naturali la avvicina ai modelli di sostenibilità promossi a livello internazionale.

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Effetti attesi, fra turismo, lavoro e territori

Al di là del valore simbolico, diversi osservatori hanno evidenziato come il riconoscimento possa incidere sui flussi turistici, favorendo un aumento delle presenze nelle città d’arte e nelle aree a forte vocazione gastronomica. In quest’ottica, la cucina viene letta come chiave di accesso privilegiata per conoscere i territori, con benefici potenziali per ristorazione, ospitalità e produzioni tipiche collegate a percorsi enogastronomici diffusi.

Parallelamente, valorizzare la cucina italiana come patrimonio vivente significa rafforzare il ruolo delle piccole realtà locali – agricoltori, produttori, artigiani del cibo – che custodiscono saperi e sapori, e che rappresentano un argine all’omologazione dei modelli alimentari. La decisione Unesco viene interpretata anche come riconoscimento del “saper fare” delle imprese agroalimentari italiane, considerate un volano di crescita che tiene insieme qualità, innovazione, occupazione ed export.

Le reazioni istituzionali e il tema della tutela

Nelle prime reazioni, il Governo ha legato il risultato a un “gioco di squadra” che ha coinvolto istituzioni, comunità italiane all’estero e una rete di soggetti pubblici e privati impegnati a sostenere la candidatura. Il Ministro degli Affari Esteri, presente a Nuova Delhi, ha richiamato in particolare la capacità della cucina italiana di raccontare i territori, promuovere una dieta mediterranea equilibrata e fare da traino per uno sviluppo fondato su crescita economica e attenzione ambientale.

Nel dibattito pubblico, il riconoscimento è stato anche collegato all’esigenza di difendere più efficacemente le produzioni autentiche da imitazioni e concorrenza sleale, rafforzando strumenti di tutela delle denominazioni e della qualità percepita all’estero. In prospettiva, la sfida sarà mantenere vivo il carattere comunitario della cucina italiana, evitando che il titolo Unesco si esaurisca in una medaglia formale e accompagnando invece il lavoro quotidiano di chi, nelle cucine domestiche e professionali, continua a rinnovare questo patrimonio.​​

La decisione presa a Nuova Delhi inserisce la cucina italiana in un orizzonte globale in cui il cibo è riconosciuto non solo come risorsa economica, ma come strumento di coesione sociale, educazione e dialogo tra culture, confermando il ruolo del nostro Paese in un settore che intreccia agricoltura, identità e sostenibilità.

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