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Il Pagliaccio: a tu per tu con Anthony Genovese

Anthony Genovese

Il Pagliaccio nel cuore di Roma racconta dal 2003 della necessità di espressione del suo patron Anthony Genovese e della eccellenza che contraddistingue il suo team guidato da Matteo Zappile, che ha visto anni di crescita e riconoscimenti: due Stelle per la Guida Michelin.

Genovese, ha origini calabresi ma l’inizio della sua vita è in Francia, così come il principio della sua formazione gastronomica. Dopo aver frequentato l’Ecole Hoteliére de Nice, si dirige nei ristoranti stellati francesi di Monaco, Marsiglia e Nizza ma il legame con la sua terra lo porta a fare esperienze in Italia all’Enoteca Pinchiorri*** di Firenze. Successivamente, il richiamo verso Oriente gli consente di crearsi il bagaglio che da sempre caratterizza le sue creazioni culinarie: così sarà in Giappone e Malesia prima del ritorno in Italia nel 1997 presso il Ristorante Rossellinis* dell’Hotel Palazzo Sasso, a Ravello. Risale a questi primi anni a Ravello la sua prima stella Michelin.

Nel 2003 insieme all’amica e socia Marion Lichtle, deciderà di aprire un nuovo locale a Roma, un luogo particolare sia negli arredi curati dal noto architetto Anton Cristell che nelle creazioni culinarie, al piano terrà di un immobile di interesse culturale che conserva ancora il pavimento del ventennio fascista e il soffitto del 1502.

In cucina Genovese è supportato dal suo chef de cuisine Francesco Di Lorenzo, e in sala dall’organizzazione e dalla professionalità del general manager Matteo Zappile che cura anche la cantina de Il Pagliaccio insieme al sommelier Luca Belleggia, seguendo una filosofia precisa, che si sviluppa attorno ai concetti fondamentali di ricerca, qualità ed espressione del territorio. La carta dei vini – monumentale e non scontata – include eccellenze da tutto il mondo, in cerca anche di interessanti collaborazioni con grandi aziende vitivinicole. Così ad esempio l’aperitivo iniziale è accompagnato dallo champagne 100% da uve chardonnay “Funambulle” di Alberto Massucco vinificato dal compianto Erick de Sousa, concepito apposta per Il Pagliaccio.

E come un buon padrone di casa, Genovese sulla soglia della sua cucina dà il benvenuto agli ospiti con un sorriso: un buon motivo già per “sentirsi al settimo cielo” prima di sedersi a tavola.

In questo hub, in cui ogni percorso degustazione è differente ed ogni tavolo gode della sua intimità, chi gestisce la sala è evidente che conosca in profondità le varie tipologie di commensali che giungono da ogni parte del mondo.

Matteo Zappile

E in effetti Zappile, di strada ne ha fatta e lo ha visto ottenere prestigiosi riconoscimenti: nel 2014 come Miglior Sommelier d’Italia attento alle birre per il Gambero Rosso, quando nello stesso anno la sua carta dei vini riceve il premio come Miglior Carta delle Bollicine d’Italia per L’Espresso. Negli anni a seguire verrà premiato come Miglior Sommelier d’Italia dalla guida l’Espresso edizione 2017, nel 2018 come Miglior Maitre d’Italia dell’anno assegnato dalla rivista Food and Travel e nel 2021, con tutta la squadra de Il Pagliaccio, ottiene il riconoscimento Miglior Servizio di Sala per la Guida Michelin 2022.

Il Pagliaccio è un luogo come afferma Zappile in cui “Nulla è casuale” e rivela “il servizio in un ristorante è la parte più semplice. La parte più complessa è quella che c’è dietro il servizio: il planning. In questo ristorante si siedono diverse nazioni. Così al fine di creare armonia e intimità, mettiamo vicini, tavoli di differenti nazionalità, in modo che il cliente possa sentirsi anche libero di esprimersi”.

Non è casuale neppure la scelta dei colori dei tre menù che vengono portati all’attenzione del cliente. Hanno tutti colori differenti e come spiega Zappile “il bianco è un menu rappresentativo che serve per raccontare solo chi siamo, il rosso è in italiano e il nero in inglese”. Il significato dell’esperienza si cela in un sottotitolo “per farvi capire qualcosa che vorrei voi non capireste”.

Abbiamo intervistato il patron de Il Pagliaccio, Anthony Genovese.

Lei è nato in Francia da una famiglia calabrese. Come hanno influito le sue origini nel suo percorso di ricerca in cucina?

Le mie origini sono le mie tradizioni, più che influenze le chiamerei esperienze.

Il ristorante prende in prestito il nome da una opera d’arte a cui evidentemente è molto affezionato. Ci racconta la sua storia e perché si sente così legato a questo quadro?

Mia madre Fatima, dipinse il pagliaccio, un quadro che campeggia al centro del ristorante. Originariamente doveva essere il regalo per mio padre, ma lui prima di lasciarci lo regalò a me ed io risposi con una promessa: il giorno che aprirò il mio ristorante, lo chiamerò Il Pagliaccio. Nel 2003 ho dato seguito a quella promessa.

Ed oggi che cos’è il Pagliaccio?

Il Pagliaccio è casa, è un hub di esperienze e creatività.

Nella sua carriera quale è stato e come è cambiato il rapporto con se stesso e il modo di raccontarsi attraverso la cucina?

Negli anni passati c’è stato un periodo che cucinavo per la stampa, per sorprendere e per stupire, oggi con la maturità lavorativa creo per me e per i miei clienti, per tutti coloro che scelgono il mio locale in via dei Banchi Vecchi per la propria esperienza.

Che cosa ha imparato negli anni da questo mestiere?

Ho imparato il senso del gusto, dell’armonia, dell’emozione in un piatto e in un ambiente.

Lei è un grande riferimento ormai nel mondo della cucina ma esprimersi senza compromessi, seguendo sé stessi e la propria idea, è davvero possibile?

Oggi è questa la filosofia che primeggia a Il Pagliaccio. Si suona al campanella e si entra  a casa mia e del mio team. Noi esprimiamo quello che siamo, quello che ci emoziona per creare ogni sera 10 esperienze di verse, 10 come i nostri tavoli.

Quali sono i piatti del suo presente che la descrivono meglio?

Tradizione e innovazione: profumo di ricordi, il piennolo, il maialino e il caciocavallo di ciminà, il volo al mare, il piccione e l’abalone

In quale direzione sta andando la sua cucina?

La purezza, il rispetto per l’ingrediente, la naturalità delle stagioni.

Ha in mente progetti futuri e/o novità in arrivo?

Tanti bei progetti bollono in pentola, nuove esperienze e consulenze, ma è presto per raccontarle.

Da qualche anno ha creato un percorso nel percorso: “Parallels”, riservato a poche persone in una sala appartata del locale. Ci racconta di più di questo progetto?

Parallels nasce dalla voglia di essere “libero” di esprimermi, mentre nei 10 tavoli che abbiamo in sala, componiamo il menù “tailor made” per ogni tavolo, accomodando allergie e preferenze alimentari, in saletta il percorso Parallels non si presta a modifiche è una mia voglia di sperimentare, che insieme a Matteo, il nostro direttore, abbiamo creato del tutto ex novo. Parallels è un parallelo, un menù che non sarà mai uguale in piatti, sensazioni, posate, calici e tavolo. Parallels è un ristorante nel ristorante.

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