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“Le quattro stagioni di Antonini”: concerto di estro e carattere in chiave di Imàgo maggiore

Ad affascinare gli ospiti dell’Imàgo, Ristorante panoramico 1 Stella Michelin dell’Hotel Hassler che troneggia su Trinità dei Monti – iconico Hotel di Roberto Wirth, che ne è proprietario e Direttore Generale – oltre all’ineguagliabile bellezza di Roma Città Eterna che fa da abbagliante scenografia, c’è la grande cucina di Andrea Antonini, Executive Chef.

Chef sulla rotta dell’affermazione del sé, Antonini è un concentrato di carattere, energia, determinazione, studio continuo, riflessioni e creatività, citazioni e nuove idee applicate al cibo.

Cotture, non cotture, prodotti di nicchia e purezza dei sapori, giochi sulla tradizione e continui rimandi alla vera protagonista della tavola che è “l’italianità” di sapiente interpretazione espressa in un crescendo di armonie di stagione.

Cos’è uno chef? Cosa ci si dovrebbe aspettare quando ci si siede ad una tavola stellata? Qual è il giusto approccio? Cosa dovremmo tenere a mente? Qual è lo scopo della cucina d’autore?

Se sia il nutrimento più virtuoso o l’urgenza di esprimersi o esprimere concetti attraverso il cibo, sperimentare tecniche innovative o dissonanze di sapore, è sempre interessante capire in quale contesto si inserisca il pensiero di uno Chef celato dietro ai suoi piatti e quali valori voglia proporre o salvaguardare.

Sedersi alla tavola di Antonini, assaporare la sua nuova fase espressiva è, da questo punto di vista, un’esperienza più simile ad un happening artistico, un nutrimento di idee intelligenti, di necessità che diventano virtù e di nuove energie condensate da tecniche in forme e colori mai prive di contenuto. 

La sua cucina di oggi ha il potere di indurre delle riflessioni, di spingersi in avanti nell’analisi del significato della parola “chef” e su quale sia, più in generale oltre al nutrimento del corpo, lo scopo della della cucina d’autore. 

Riflettendo su quali aspettative sia giusto portare a tavola con sé quando ci si siede ad una tavola insignita della Stella Michelin, sappiamo che per emergere e attirare corpi celesti che brillino di luce propria, non esiste una formula precisa, non ci sono criteri precisi, e che, quando varchiamo la soglia di luoghi straordinari di grande cucina e grande accoglienza, non si parla solo di piatti, di prodotti e di percorsi di affermazione professionale, ma che la differenza la fa l’esperienza, nella sua interezza.

Seduta nella sala dell’Imago ho provato la cucina di Antonini per la seconda volta, nel mezzo, c’è stata la Pandemia. Ho trovato un menu diverso, uno chef diverso. Se il primo approccio al suo desco è stato abbagliante e netto, con un menu che rivelava tutta la sua voglia di affermarsi, mostrare e dimostrare le sue capacità; questa volta ho trovato uno chef di carattere, che ha creato un percorso carico di espressività, grinta, capacità. Un menu che è ponte tra natura e cultura, colore, consistenze e modernità.

Un’orchestrazione ben riuscita, che abbraccia la sala intera, guidata con sicurezza e destrezza da Marco Amato assieme al sommelier Alessio Bricoli, e la cucina, governata da Antonini con il puntuale contributo di Riccardo Romoli, sous Chef, ​​Luigi Senese, Andrea Carbonaro, Mariasole Martella e Adriano Gentiluomo.

Il menu è ampio e parla italiano. Il percorso degustazione articolato, caleidoscopio; bisogna arrivare alla fine per comprenderlo nella sua completezza.

Si presenta come uno di quei disegni dove è necessario unire i punti per avere la risultate dell’immagine, e suggerisce gli spunti per un parallelismo gastronomico – musicale in un percorso personale da scomporre e ricomporre come ne “Le quattro stagioni” di Vivaldi.

Queste le prime note di Entrata: Riccio di mare, la Carbonara, la Lattuga, la Kombucha, Crocchetta di baccalà, Bouquet di erbe. Una ouverture di assoluto effetto che assicura un’esperienza multisensoriale di spessore.

Abbiamo deciso di cuocere il pane all’arrivo del cliente, mostrandolo ancora crudo al suo arrivo e che, dopo esattamente 35 minuti, arriva al tavolo ancora “scricchiolando”. Poi grissini, “Pizza, mortadella e maritozzo” come omaggio a Roma.

L'estate. Crudo Misto all’Italiana: Ostrica e champagne; Pralina di Bloody Mary; Gambero rosso in caprese; Cetriolo di mare alla mediterranea; Calamaro, fiore di zucca e arachidi; Tracina, pesca e fegatini di pollo. Per i suoi toni accesi e decisi, questo primo “concerto visivo e sensoriale”, riflette con maggiore efficacia rispetto agli altri la carica esplosiva della stagione, regno di mare e freschezza.

L’Autunno, con i suoi i ritmi scanditi della caccia, dal bosco e la sua “Carne cruda alla pizzaiola, latte fermentato, nocciole e salsa bernese alle erbe”; Poi, “Ravioli scampi e porcini”, trasognati bottoni ripieni che anticipano la stagione che verrà tenendola legata all’estate attraverso alle dolcezza dei crostacei.

L'inverno, in questo percorso viene ben rappresentato dalConiglio alla cacciatora”, valorizzazione inedita di una carne da cortile, lavorato magistralmente tanto da assumere consistenze addirittura simili a quelle delle carni marine.

Poi il dessert: “Pera, ricotta e cioccolato” e la piccola pasticceria che, dopo una pioggia di “pop corn”, arriva e accompagna la serena accettazione del rigido clima invernale. 

La primavera, rappresentata dagli “Spaghetti ai ricci di mare affumicati e pecorino”, quando le gonadi sono maggiormente sviluppate e il periodo di raccolta dei ricci di Mare è migliore nei mesi invernali e primaverili, Poi, “Riso rosa, gamberi gobbetti, stracchino e barbabietola”, che portano con in sé gli elementi cromatici accesi, i prodotti della terra che rinasce, quelli della tradizione agropastorale e le note miti del mare che verrà.

Che rapporto hai con la cucina?

Passionale. Ogni menu è un amore a sé, un lavoro chiuso su se stesso. Ha una sua propria storia, una sua genesi e, una volta messo a punto lo vivo fino in fondo, poi lo metto da parte, e già vorrei iniziarne un altro. 

Cosa hai maturato in questo anno e in quale direzione stai andando?

In questo difficile anno appena trascorso, sicuramente ho maturato tanta consapevolezza. Tutti noi, a questi livelli, eravamo abituati ad avere molti comfort in cucina che si sono rivelati non essere strettamente necessari per ottenere risultati convincenti. Si può lavorare bene anche senza essere 12 in cucina e, per assurdo, coordinandosi alla perfezione, forse anche meglio.

Raccontami l’idea della “lattuga in sala”.

Ho trovato questo fornitore che mi manda dei germogli che io faccio crescere fino ad essere una piccola lattuga. La guardavo, non sapevo come valorizzarla. Da lì l’idea di servirla a tavola ancora viva. Il concetto è di servire al cliente un prodotto il più fresco possibile connesso all’idea di estate, di stagione, che terminiamo con maionese ai capperi, limone, “polvere di cacciatora” con olive, capperi e rosmarino; sopra dei fiori e erbe  acide come acetosella e fresca come la menta.

Oltre l’interpretazione che ognuno può dare, e le armoniche assonanze di sapore, qual é il messaggio che hai messo nel tuo menu?

E’ un menu scritto e ideato in pochissimo tempo. Abbiamo avuto tanto tempo per pensare e poco per fare. Appena ho potuto avere il contatto vero con la cucina, toccare ingredienti e materie prime, è arrivata l’ispirazione. Il concetto che lega tutti i piatti è quello, nonostante le difficoltà affrontate, è stato quello di aver costruito un menu solido, che funziona, di grande qualità e grande creatività.

Qual è la differenza con il tuo primo menu?

Il primo menu era un menu fortemente influenzato dalla paura di sbagliare. Adesso c’è più serenità, più estro, più libertà. Le capacità sono le stesse.

Dove sta andando la cucina italiana?

C’è una grandissima evoluzione, il livello della “nuova guardia” è alto, sono tutti incredibilmente preparati a livello tecnico, con la possibilità che hanno di costruire la propria preparazione nelle cucine più diverse e tornare con grandi bagagli. Ma non amo le tendenze, le mode forzate, tecniche utilizzate solo per stupire. Ho un grande amore e rispetto per la cucina italiana classica, che mi piacerebbe non perdesse mai la sua grande identità.

Su quali principi ti sei basato per costruire oggi la tua personale visione di cucina?

I principi sono sempre i miei, quelli legati alla grande cucina italiana. Creare un menu dove non siano inseriti e lavorati ingredienti esteri, blasonati, di facile richiamo, non è semplice. Le tecniche che ho appreso nel mio percorso, il bagaglio che custodisco, mi serve per mia cultura personale, è un bacino al quale attingo per dare forma alle mie idee: il mio intento è quello di appagare i nostri ospiti con qualcosa di complessa costruzione che però in appaia il più semplice possibile.

Tra poco è San Lorenzo. Pensi possano raggiungerti nuove stelle?

Per il lavoro intenso che abbiamo fatto fino ad oggi, per il concetto che stiamo portando avanti tutti insieme, saremmo più che felici di ricevere un nuovo riconoscimento. Ma non voglio fare previsioni; logiche e criteri di attribuzione non sono di mia pertinenza. Posso solo dire che l’Imago viaggia ad un livello altissimo, che il menu piace, e che tutto è in equilibrio di scambio e condivisione tra sala e cucina: tutti noi speriamo solo che questo arrivi ai nostri ospiti e a chi dovrà giudicarci. Nell’attesa continuiamo ogni giorno a proporre il nostro meglio.

Photocredits – Alberto Blasetti – www.albertoblasetti.com

Imàgo

Piazza Trinità dei Monti, 6 – 00187, Italy |Dal Martedì al Sabato: 19:00 – 22:30. Chiuso la Domenica ed il Lunedì. Contatti:imago@hotelhassler.it
Tel. +39 06 699 34726
| Sito

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