Prato, ancora una volta, cuce e ricuce le proprie trame. Ma questa volta lo fa a tavola; scopriamo insieme le insegne da non perdere.
Spesso sottovalutata nel racconto turistico della regione, Prato è la seconda città della Toscana per numero di abitanti e forse una delle più giovani e multiculturali d’Italia. Una città che negli ultimi decenni ha dovuto fare i conti con trasformazioni rapide: la crisi del tessile, l’arrivo massiccio di nuove comunità, le sfide dell’integrazione. Ma proprio da queste tensioni è nato qualcosa di nuovo. Oggi, camminando tra il centro storico e le vie di Chinatown, si avverte un’energia difficile da etichettare: ibrida, curiosa, affamata di futuro.
Prato, ieri e oggi
Fino alla crisi del settore negli anni ’90, Prato è stata il cuore pulsante del tessile italiano. La città ha visto fiorire telai e tintorie, capannoni ed aree industriali che fagocitavano ricchezza e identità sull’industria laniera. Un’economia circolare ante litteram, compatta e che trovava vera linfa nel “fare”; terreno fertile per i “cenciaioli”, rigattieri del tessuto capaci di rigenerare la lana usata e trasformarla in nuovo filato.
Come tutti i sistemi, anche vittima di interessi personali e imprenditoriali, ha dovuto ben presto scontrarsi con una nuova realtà fatta di delocalizzazione produttiva, concorrenza estera e una certa rigidità ad adattarsi alle nuove richieste del mercato.
Ma se è vero che “chi sa fare, sa capire”, Prato ha ben presto compreso come rinascere. Nei capannoni che un tempo odoravano di lanolina, oggi si affacciano atelier d’arte, ristoranti contemporanei, cocktail bar d’autore. La cultura del “fare” resta, ma ha cambiato pelle: non più solo tessuti, ma piatti, storie, visioni.
A guidare questa nuova stagione è una generazione di cuochi, bartender e artigiani del gusto che coniuga tecnica e visione, identità e contaminazione. Il loro è un linguaggio fatto di materie prime locali, influenze globali, recuperi creativi e gesti contemporanei.
Prato, ancora una volta, cuce e ricuce le proprie trame. Ma questa volta lo fa a tavola; scopriamo insieme le insegne da non perdere.
Ristorante Paca, una stella Michelin

Impossibile non partire da Niccolò Palumbo e dal suo ristorante che ha riportato la Rossa in città dopo 10 anni. A pochi passi dal centro storico, Paca propone una cucina italiana moderna, che dona gran parte delle sue energie nella ricerca delle materie prime – spesso a km0 – attingendo con particolare attenzione ai piccoli produttori locali.
Una proposta essenziale, pochi piatti curati al dettaglio – di pregio il lavoro svolto sui vegetali- che sembrano voler evitare a tutti i costi i cliché della Michelin. Ne sono prova piatti come il Pasticcio di Fagiano con porri e cedro servito come antipasto o la Pecora e giardiniera di verdure annoverata fra i secondi.
Il servizio preciso e mai invasivo lascia il giusto spazio ai commensali per godersi le portate che si susseguono nelle due proposte – da 95 o 120 euro-. In una sala dalle luci soffuse e dai colori tenui, spiccano irriverenti le ironiche statuine di Umarell dai toni pastello che, come vuole la prassi, osservano i lavori in corso e accompagnano il tavolo per tutta la cena.
Elementi Cocktail e Pizza- Prato

I latini dicevano “Nomen omen” è questo in città ne è forse l’esempio più virtuoso di tutti. Premiata nel 2024 dal Gambero Rosso come miglior proposta di bere miscelato, Elementi sta ridefinendo l’esperienza della pizza con accostamenti innovativi che hanno già conquistato il pubblico; forte di un team giovane e creativo ma al tempo stesso solido e capace.
Dopo la prima insegna di successo in Mugello i sei soci – Tommaso Sarti, Domenico Varone, Lorenzo Gironi, Benedetta Berti, Fabio Buccino e Francesco Giuntini – hanno scelto Prato per ampliare il loro palcoscenico. L’arte bianca, in entrambe le insegne, è guidata con estro e capacità dal maestro pizzaiolo Roberto Cordioli ma la firma distintiva è il bar program di Francesco Giustini, capace di ampliare il concetto stesso di pairing con un cocktail pensato ad hoc per ogni pizza.
L’ultimo cocktail list, Migration, si ispira alle rotte degli animali migratori per raccontare storie di incontri e contaminazioni culturali proprio come la città che li ha accolti con entusiasmo.
Osteria dei Francescaioli

Nel cuore di Prato, affacciata su piazza San Francesco, l’Osteria dei Francescaioli unisce spirito popolare e visione contemporanea. Nata dall’idea di proporre fine dining accessibile e soddisfacente, l’osteria prende il nome dalla crasi tra San Francesco e i “cenciaioli”, simbolo dell’identità pratese.
A guidare la cucina c’è il giovane chef Lorenzo Nesi – con un buon bagaglio di esperienze internazionali- con la sua filosofia di cucina essenziale, fatta di ricercatezza degli ingredienti, di tecniche di lavorazione e cottura moderne, di stagionalità delle materie prime e di combinazioni che servono per esaltare ogni piatto. Il menù è stagionale e molto snello. Comprende proposte vegetariane, di terra e di mare ed è reso sempre dinamico grazie a una serie di piatti fuori menù che vengono proposti settimanalmente.
L’ambiente, austero ma accogliente, richiama i colori della Toscana medievale. Ricercata la carta dei vini, incentrata su piccoli produttori conosciuti e scelti personalmente dal team.
Big Easy

Una delle arterie principali della mixology pratese, il Big Easy Cocktail House – in Piazza Mercatale dal 2017- è un locale ispirato alla New Orleans degli anni ’20, da cui riprende il nome. Guidato da Marco Serri e dalla sua compagna Simona Lunetta, propone cocktail classici reinterpretati con tocchi d’avanguardia, in un ambiente intimo e accogliente che mette subito a proprio agio.
Nato come indirizzo da dopocena, il Big Easy ha ampliato negli anni la propria offerta includendo aperitivi e una proposta gastronomica pensata per accompagnare al meglio la drink list. Tra i signature più iconici, rimasti in carta come “intramontabili” spiccano il Conte Pratese, variazione sul Negroni, e la Peschina di Prato con Vermouth di Prato SB, Liquore allo zabaione, Orange Curaçao e Alkermes, un chiaro omaggio alle celebri Pesche di Prato, dolce simbolo della tradizione locale.
Myo

Al piano terra del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci – conosciuto come Museo Pecci- si trova Myo, il ristorante gourmet guidato dallo chef Angiolo Barni. Figlio di ristoratori, Barni ha portato con sé la tradizione in ogni tappa del suo percorso, dall’Enoteca Barni alla cena per Bill Clinton del 99, reinterpretandola con mano sicura. Pioniere del fine dining a Prato –l’apertura di Myo risale al 2016- ha da sempre posto al centro la stagionalità, fino alla creazione del “Myo Orto”: un terreno sulle colline pratesi coltivato in regime biologico e biodinamico. Da lì arrivano ingredienti che diventano protagonisti dei suoi menu, pensati per dialogare con i prodotti più identitari del luogo, pur aprendosi a “proteine lontane” come la Wagyu “Italiana” dell’azienda agricola la Cigolina.
MOI

Davanti al Castello dell’Imperatore, si cela uno dei migliori sushi della regione- e forse d’Italia. Ma definire MOI un sushi restaurant sarebbe riduttivo. Il regno di Francesco Preite è un omakase intimo -massimo dieci posti intorno al banco- dove, puntualmente alle 21 di ogni sera, i fortunati commensali partecipano ad un rito che ha un solo obiettivo: scoprire la cultura giapponese.
Francesco, “Shokunin” e patron, ad ogni servizio sale idealmente in cattedra. Cucina davanti ai clienti racconta la profonda cultura enogastronomia giapponese, maturata in quasi un centinaio di viaggi nella terra del Sol Levante. Lo fa attraverso la ricerca della “verità” in ogni ingrediente stagionale, in un menu che cambia quasi ogni giorno a seconda delle disponibilità del mercato. Nigiri, zuppe e sake, qui ogni boccone o sorso diventa parte di un viaggio essenziale, istintivo e personale, senza orpelli e con grande intensità.
Trattoria Vivanda

Vivanda è come dovrebbe essere nei pensieri una trattoria all’italiana dove l’ospitalità e la qualità si amplificano in un caleidoscopio dello star bene. Nata da un’idea di Luca Lotrecchiano e Stefano Anfuso, propone piatti genuini della cucina toscana e italiana, preparati con cura da Stefano e Marco Fontanelli, forti di un’esperienza maturata in anni da girovaghi fra ristoranti stellati in giro per il mondo. A Luca invece, insieme a Simone Mossa l’arduo compito di gestire la sala per assicurare al cliente un servizio puntuale ma rilassato oltre a curare la carta dei vini, in costante aggiornamento e pensato per ogni palato e portafoglio.
Come tradizione dovrebbe pretendere, Trattoria Vivanda basa la sua esistenza su tre pilastri, mangiar bene, bere bene e spendere il giusto. Aperta a pranzo e cena è l’insegna perfetta anche per una pausa veloce o un aperitivo all’aperto, tra cocktail classici e drink d’altri tempi come la Bicicletta.