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Sonia Massari: la designer del Gusto

Intervista alla direttrice di Gustolab, una università dove si studiano e progettano nuovi modelli, servizi, prodotti e sistemi per le culture alimentari in continua evoluzione e per comportamenti più sostenibili

di Sara De Bellis (sara@mangiaebevi.it)

E’ giovane, brillante, spigliata, capace. Una donna forte ed indipendente, ottimista quanto basta per progettare e credere in un futuro migliore. Parliamo di Sonia Massari, Direttore Accademico dell’University of Illinois Urbana-Champaign Food Studies Programs, direttore di Gustolab International Institute for Food Studies, consulente scientifico per la Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition. Nel 2012 ha vinto il premio internazionale “Le Tecnovisionarie WomenTech: Women Innovation” destinato a donne impegnate nell’innovazione in cibo e nutrizione e nel 2014 il NAFSA TLS KC’s Innovative Research in International Education Award. È stata poi Ambassador di WE Women for Expo2015. Ha un dottorato in Food Systems e Interaction Design, ha lavorato con diverse agenzie di educazione e comunicazione, con centri di ricerca direttamente collegati alla Commissione Europea, come ricercatrice, valutatrice e professore. Tra il 2005 e il 2007 è stata Visiting Professor a Montclair State University (NJ), ha insegnato a CUNY (NY) ed oggi la troviamo come docente alla “Scuola Politecnica di Design”, al “Master Food Design” e all’ “ISIA Design School” di Roma. Insomma un curriculum davvero niente male per Sonia, sempre più attiva come imprenditrice, educatrice e creatrice di nuovi network. Conosciamola da vicino.

 

Come nasce la tua passione per il design?

Dopo la laurea a Siena in Interaction Design ho deciso di lavorare nel campo della progettazione, della ricerca e della formazione e poi del marketing di prodotto. Ma l’interesse per la ricerca e quello che riguarda la parte cognitiva dei processi del design creativo, è rimasto. Così ho continuato a seguire progetti e ad ideare concept visionari. Con uno di questi ho vinto una borsa di studio ed ho avuto l’occasione di insegnare design presso una università negli Stati Uniti. Dopo questa magnifica esperienza di 2 anni, ho deciso di tornare in Italia e mi sono avvicinata al mondo del cibo, quasi per caso.

 

Come è avvenuto il passaggio da Design a Food Design?

In quel frangente mi stavo occupando di programmi per studenti statunitensi, quando ho conosciuto una organizzazione che stava nascendo a Roma e che aveva come obiettivo quello di unire la passione per il cibo degli studenti stranieri, con un tipo di ristorazione alternativa, fortemente legata alla qualità e al territorio. Ho iniziato a fare consulenze per loro – soprattutto per la comunicazione – e ho iniziato a studiare il cibo, in tutta la sua complessità. In quel periodo ho anche deciso di iniziare un dottorato in Ingegneria e Società dell’Informazione, per studiare come le nuove tecnologie digitali possono modificare il nostro rapporto col cibo e quindi influenzare i comportamenti alimentari. Studiando il cibo, lungo tutta la filiera, mi sono accorta di quante cose non sappiamo e di quanti cambiamenti stanno avvenendo nel mondo della produzione, distribuzione, ristorazione e della sostenibilità. Da consulente sono passata ad essere il direttore del primo centro per studi accademici dedicati al cibo in Italia. Un ambito di ricerca e studio perfetto in cui un designer può progettare e immaginare sempre nuovi scenari. Ho deciso quindi di applicare le mie conoscenze nel campo del design al mondo dell’agroalimentare. Non mi definisco una food designer, ma sono una ricercatrice nel campo del food e del design. Non mi sono mai fermata nel fare ricerca e la mia passione si è trasformata in un mestiere.

 

Puoi darci una definizione di “food design” e delle sue declinazioni?

Il food design è uno degli strumenti che vengono usati per definire il nuovo equilibrio tra cultura e territorio, produzione e consumo. Difficile dare una definizione univoca. Personalmente, invece di escludere alcune forme di design applicato al cibo dicendo “questo non è food design” preferisco sempre includere, cercando all’interno dei vari prodotti, servizi e sistemi, una cultura di progetto. Come ho spiegato durante il mio intervento a BeWizard (www.be-wizard.com) il food design non è solo la forma della pasta o il packaging di un prodotto. È un processo, una modalità di studio e ricerca, uno strumento per poter innovare. L’approccio che il design nell’agroalimentare utilizza è quello transdisciplinare e attraverso i progetti di design è possibile esaltare le creatività.

 

Quanto è importante il design nel food?

Il designer che progetta per l’agroalimentare deve ripensare alla complessità delle produzione lungo tutta la filiera e produrre una sostenibilità ambientale, economica, sociale e anche sensoriale. Oggi la sfida per un food designer è permettere all’uomo di riappropriarsi di un rapporto con il cibo. Ricondurlo alla sua dimensione culturale. Saper progettare vuol dire basarsi sulle persone e sui valori umani. Per questo motivo si dice che il design utilizza metodi di ricerca sempre più “human value centered” per rispondere alle esigenze e fornire proposte e soluzioni.

 

Dove è orientata la nuova “progettazione del cibo”?

Il design oggi non è chiamato solo a progettare interazioni e a supportare esperienze, ma sempre più spesso deve risolvere le crisi di identità culturale, provocate dall’incertezza e dalla continua ricerca di valori in cui viviamo. Le comunità di consumatori di domani hanno bisogno di nuove mediazioni culturali, flessibili e diverse. Lo stesso vale per i ristoratori che nel futuro prossimo dovranno rivedere i propri sistemi di produzione, distribuzione e comunicazione del mondo occidentale. Senza contare quello che il design potrebbe fare nelle situazioni di emergenza e di “problematiche legate al cibo”. Le potenzialità del design sono innumerevoli e senza dubbio potrebbero risolvere molti di quelli che oggi chiamiamo paradossi del cibo (malnutrizione, sistemi di produzione sostenibili, spreco alimentare e accesso al cibo).

 

Il food design ha anche una vocazione formativa ed educativa?

Assolutamente sì. Non c’è un manuale di food design. Per applicare il design al mondo del cibo, è necessario fare tanta ricerca e cercare di studiare gli scenari e i contesti utilizzando lenti diverse, che provengono dalle diverse discipline. Credo nelle forme di co-design e nel design collaborativo (gruppi eterogenei e con diversi background possono lavorare assieme e fornire i risultati migliori). L’interesse per il cibo è aumentato e sono comparse le prime scuole dedicate ad esso. Venti anni fa a New York nascevano i Food Studies, alla facoltà di nutrizione di NYU. Per la prima volta si inserirono dei corsi di cultura e storia, all’interno di curricula di nutrizione. Poi più avanti vennero aggiunti corsi di agricoltura, di comunicazione, ecc. Oggi quasi tutti le università statunitensi hanno un dipartimento o un corso di food studies. E questo trend sta arrivando anche in Europa.

 

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Parlami di Gustolab.

Gustolab International Institute for Food Studies è nato quasi 10 anni fa, nel 2007, ed è stato il primo centro di studi accademici e di ricerca sui temi del cibo in Italia e a Roma (Food Studies), dedicato a studenti stranieri. I nostri corsi di studio coprono in maniera allargata i Food Studies: dalla storia del cibo alla chimica dei processi di produzione, dall’analisi critica dei sistemi del cibo allo studio delle culture alimentari, dall’agricoltura sostenibile all’architettura degli spazi legati all’alimentazione, dalla nutrizione alla psicologia, dalla comunicazione al design e la progettazione dei sistemi cibo, solo per citarne alcuni. Gustolab International Institute for Food Studies offre una formazione universitaria sui temi legati all’alimentazione, promuove il pensiero critico e il sapere transdisciplinare e multiculturale. Dal 2008
ad oggi ho progettato e sviluppato oltre 40 programmi di studio, con oltre 1000 studenti coinvolti. Gustolab rappresenta l’Università di Illinois at Urbana-Champaign e Hobart and William Smith Colleges in Italia. Collaboriamo attivamente con più di dieci Università internazionali, per lo più statunitensi.

 

A chi è diretto Gustolab?

Partecipano studenti stranieri – per lo più dal Nord America – che stanno svolgendo un percorso di studio sui food studies. Ma in realtà ospitiamo spesso anche “Scholars”, esperti e professori che vogliono fare ricerca.

 

Come sono strutturati i corsi?

I corsi sono molto pratici. A seconda della materia includono sempre una serie di lezioni in classe, ma soprattutto visite, laboratori sensoriali, classi di cucine tematiche, laboratori di produzione, sessioni dedicate all’agricoltura
e al design. Gli studenti hanno la possibilità di lavorare con i professionisti del settore e di conoscere la cultura italiana enogastronomica attraverso diverse discipline ed esperti. Roma e il territorio italiano sono il nostro laboratorio di ricerca e studio.

 

Quali opportunità offre il mondo del lavoro in questo settore?

I nostri studenti saranno i futuri esperti del cibo. Potranno lavorare nelle aziende, nelle municipalità, nella ristorazione, nel marketing o nella produzione (sia agricola che industriale). Noi insegniamo loro ad acquisire un approccio critico verso il cibo. Ci aspettiamo da loro una trasformazione in action, in grado di poter migliorare quelle che sono oggi le condizioni dell’agroalimentare. I nostri studenti saranno i futuri giornalisti, i futuri policy makers, i produttori e manager del cibo. Ci aspettiamo da loro che manterranno e miglioreranno i metodi di ricerca che noi gli insegniamo. Loro stessi saranno a loro volta degli educatori, speriamo, motivati e consapevoli.

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