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I piatti di Pasqua in Sardegna: 6 specialità per conoscere l’isola

Quali sono i piatti tipici di Pasqua in Sardegna? Dal salato al dolce, da nord a sud passando per il centro, abbiamo tracciato un percorso di sapori tipici dell’isola nel periodo pasquale.

Paese che vai, usanza che trovi. Vale anche per la Pasqua e vale anche per la Sardegna, dove i piatti tradizionali della ricorrenza cristiana cambiano non solo tra coste e centro, ma talvolta anche di paese in paese. Alcuni sono ormai diventati piatti consumati tutto l’anno, grazie alla facile reperibilità degli ingredienti e al loro gusto molto apprezzato, ma affondano le radici in usanze del passato strettamente legate alla ricorrenza pasquale. Così, nonostante il crescente consumo di colomba e uova di Pasqua, ci sono alcuni piatti che non possono mancare nelle tavole dei sardi. Scopriamoli insieme.

Il dolce al formaggio: la pardula o casadina

Ricotta o formaggio, limone e zafferano. Ormai nell’isola le formaggelle, come sono spesso conosciute fuori dall’isola, si trovano tutto l’anno, preparate sia dalle pasticcerie che nelle case, ma si tratta di un dolce pasquale. L’impasto esterno viene chiamato pasta violada ed è a base di acqua, farina e semola. L’interno invece vede l’impiego di ricotta oppure di formaggio fresco, con l’aggiunta di zucchero, limone e in alcuni casi zafferano. Le varianti dipendono dalla zona. Troviamo la casadina nel nuorese, che vede anche l’impiego della menta nell’impasto; la pardula negli altri paesi. È anche interessante notare come la forma del dolce cambi a seconda della zona di produzione: se in quasi tutta la Sardegna troviamo una sorta di cestino contenente l’impasto, in alcuni paesi come Sestu (a pochi km da Cagliari) e in alcuni paesi del Sulcis la forma ricorda quella di una rosa. In Gallura si utilizza l’uvetta nell’impasto. Si consuma generalmente cosparsa di miele, meglio se di corbezzolo che con il suo gusto lievemente amarognolo si accompagna perfettamente alla dolcezza della pardula.

Il classico: agnello arrosto

È un grande classico della cucina italiana durante le ricorrenze pasquali. In Sardegna, isola con una cultura agropastorale e che conta più di 3milioni di capi di ovini, l’agnello arrosto è simbolo della Pasqua ma anche di altre importanti ricorrenze. L’agnello sardo riporta l’etichetta Igp, una scelta in linea con la tradizione rispettata da buona parte dell’isola.

Le frattaglie: sa tratalia

Sempre agnello, ma questa volta in un piatto all’apparenza semplice, che richiama fortemente il senso di famiglia e condivisione: sa tratalia. Il fegato, la milza, il polmone e il cuore dell’agnello vengono tagliati e alternati nello spiedo. Si cucinano per circa un’ora alla brace e, successivamente, si avvolge il tutto prima con una rete di grasso chiamata nappa e poi con
l’intestino dell’animale, ultimando la cottura per mezz’ora/tre quarti d’ora, finché non risulta dorata. Viene servita badando bene che ogni commensale abbia almeno un pezzo di ogni ingrediente. In bocca, risulta particolarmente piacevole il contrasto tra il morbido e il croccante della parte interna con quella più esterna.

Il pane ripieno: sa panada

La panada è un cestino di pane all’interno del quale gli ingredienti cucinano come fosse una pentola. La più conosciuta è quella asseminese (a pochi km da Cagliari), a base di anguilla e patate, e quella di Oschiri (fra Sassari e Olbia), con carne di maiale. Per Pasqua, invece, si prepara
la panada con agnello e carciofi. L’agnello viene cucinato in umido e, a parte, i carciofi tagliati a listarelle e saltati in padella con aglio, prezzemolo e una spruzzata di vino bianco. Il pane per creare la panada è a base di semola rimacinata, strutto, sale e acqua e, una volta creato l’impasto, si da la forma di una sorta di pentola all’interno della quale vengono posti tutti gli ingredienti cucinati precedentemente e coperti poi con un coperchio di pane accuratamente cucito. Si inforna e si lascia cucinare finché la pasta non diventa dorata.

Il pane decorato: su coccoi cun s’ou e sa pippia cun s’ou

La Sardegna ha una tradizione antica di pani e alcuni sono associati a precise ricorrenze. L’antropologo Giovanni Lilliu definiva le maestre panificatrici delle “sacerdotesse di una religione della natura” tanto meravigliosa era ed è ancora oggi l’arte della panificazione nell’isola. Su coccoi è una tipologia di pane di varie forme e grandezze. Preparato con semola di grano duro e rifinito con preziose decorazioni, quello pasquale si caratterizza per la presenza dell’uovo. Il pane viene impastato e, a seconda della manualità di chi lo crea, assume diverse forme e ricami,
alcuni così rifiniti e curati che rendono il pane una vera opera d’arte. Per creare le rifiniture si usano apposite forbici, pinzette o rotelle taglia pasta (l’immancabile sarretta). Il pane viene infornato con l’uovo e in Gallura prende il nome di bibbilliu. Esiste anche una versione destinata ai più piccoli, ovvero sa pippia cun s’ou (trad. la bambina con l’uovo), un pane a forma di bambina che stringe a sé un uovo.

Microcosmi culturali: ‘u cavagnettu carlofortino

Andiamo nell’estremo sud ovest dell’isola, prendiamo il traghetto e sbarchiamo a Carloforte, nella splendida isola di San Pietro. La sua enogastronomia, come anche quella di Calasetta, è definita tabarchina ed è fortemente influenzata dalla cultura ligure. È così anche per la cucina di Pasqua, che vede come protagonista un dolce chiamato ‘u cavagnettu, a base di farina, strutto, lievito, uova e zucchero. È l’impasto classico del canestrello, che assume poi nomi e forme differenti a seconda della ricorrenza. Quello pasquale è formato da una sorta di manico ed è arricchito con la presenza dell’uovo.

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