Dalla periferia romana ai menù di tutto il mondo, partendo da un’intuizione che ha scritto una nuova storia della panificazione laziale. La Pinsa Romana è molto più di una variante della pizza: è un’invenzione, un impasto nuovo, un simbolo contemporaneo dell’identità gastronomica del Lazio. Una rivoluzione che parte dal passato, ma guarda dritta al futuro.
Era l’inizio degli anni ’80 quando Corrado Di Marco, mugnaio, panificatore e profondo conoscitore delle farine, si mise in testa di creare un impasto diverso da tutto ciò che esisteva. Non una variazione della pizza, ma una vera innovazione: più digeribile, più leggera, più adatta alla vita moderna, ma con il sapore buono del pane di una volta.
Insieme alla moglie, nutrizionista, iniziò una lunga fase di sperimentazione nel laboratorio di famiglia alle porte di Roma. Dopo anni di prove, nel 2001 nacque la Pinsa Romana: un impasto ovale, fragrante fuori e morbido dentro, fatto con un mix di farine di frumento, riso, soia e Pasta Madre, lasciato lievitare per almeno 72 ore. Un prodotto talmente nuovo da meritare un brevetto. Ma anche talmente buono da sembrare esistito da sempre.
Dalla radice latina all’identità laziale
Il nome “pinsa” arriva dal termine latino pinsere, che significa schiacciare, allungare. Molto spesso questo si legge in articoli che raccontano la storia millenaria di questo prodotto, la cui invenzione viene attribuita ai romani di diversi secoli fa. La reale storia di quello che ormai è un importante pezzo della tradizione della panificazione laziale è certamente più recente, senza nulla togliere alla sua qualità. Il suo nome richiama la preparazione manuale dell’impasto, ma erroneamente la accumuna per assonanza alla famigerata pizza. Infatti, la Pinsa Romana non è proprio un prodotto da poter accomunare alla classica pizza: ci sono di fatto meno calorie e meno grassi. Contiene una più elevata quantità di acqua e risulta più digeribile.
Questa identità così marcata è stata riconosciuta ufficialmente nel 2025 dal Ministero delle Politiche Agricole, che ha inserito la Pinsa Romana nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali del Lazio (PAT). Un riconoscimento che sancisce la sua origine regionale e ne certifica il valore culturale oltre che gastronomico.


Una scuola per imparare la leggerezza
Proprio perché frutto di un equilibrio delicato, la vera Pinsa si può fare solo seguendo regole precise. Per questo, accanto alla produzione, l’azienda Di Marco ha fondato la Pinsa School, un’accademia che forma oltre 300 pinsaioli ogni anno. Niente mattarelli, uso del termometro, rispetto rigoroso di peso, forma, alveolatura, croccantezza e sofficità. Ogni fase della preparazione è parte di un protocollo che garantisce il risultato perfetto.
A dirigere la scuola è Marco Montuori, che ha affiancato Corrado Di Marco sin dall’inizio. L’obiettivo? Preservare l’autenticità della pinsa anche nelle oltre 7.000 pinserie in 60 Paesi che oggi utilizzano la miscela Di Marco. È la qualità, infatti, a fare la differenza tra una vera Pinsa Romana e le numerose imitazioni nate sull’onda del successo del prodotto.
Dalla bottega al mondo, passando per il supermercato
Oggi la Pinsa Romana non è più solo un prodotto professionale. Grazie al laboratorio artigianale di Guidonia, dove oltre 200 pinsaioli preparano ogni giorno le basi pronte, è disponibile anche per il grande pubblico: nel banco frigo, in versione classica, multicereale o snack. Ma ovunque venga servita, resta un simbolo di romanità che non ha bisogno di proclami.
Il Lazio, pane e futuro
La storia della Pinsa Romana è quella di un’intuizione diventata patrimonio. È il racconto di un uomo che ha guardato oltre, di un impasto che ha messo d’accordo gusto, salute e praticità, di un territorio – il Lazio – che oggi può vantare un prodotto tipico nuovo, ma già profondamente radicato.
Con il suo profumo di pane antico e la sua leggerezza moderna, la pinsa rappresenta ciò che di meglio può nascere quando il passato viene lavorato con mani nuove. Mani in pasta, appunto.