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Napoli: la Taverna a Santa Chiara resiste grazie al crowdfunding

Ristorante simbolo del centro storico a Napoli, spirito di quartiere, solidarietà e buon vicinato. Con la crisi economica in atto i proprietari hanno chiesto aiuto e sono arrivate “le fate”.

Nives Monda, co-titolare de La Taverna a Santa Chiara di Napoli, le chiama così, “le nostre fate”. Riferendosi agli aiuti economici che stanno arrivando da amici e clienti, in un’inaspettata, quanto potente, azione di crowdfunding.

Una raccolta fondi, una colletta per evitare la chiusura di un luogo del cuore. Perché di questo si tratta, proteggere due ristoratori che, da sempre, hanno fatto del valore umano il piatto principale sul loro menu. Un valore che, oggi, gli torna indietro con gli interessi.

Nives con il suo socio, lo chef Potito Izzo, stretti dall’emergenza della chiusura e dei mancati guadagni, hanno trovato il coraggio di chiedere aiuto. L’energia positiva, l’autenticità, soprattutto, la loro credibilità hanno messo in moto una macchina potente. Gente che non vede l’ora di dare una mano, in pochi giorni hanno raccolto quasi 25.000 Euro. E non è finita perché, dopo gli amici, si sta attivando un’intera comunità. Eccola qui l’Italia. Ecco Napoli.

La Taverna a Santa Chiara

La Taverna a Santa Chiara è forse l’ultimo, vero baluardo del centro storico della città. Un quartiere che si è sempre autosostenuto con le sue botteghe artigiane, con il meccanismo che i residenti spendono nel quartiere, così come i commercianti si aiutano tra loro. Si chiama economia di vicinato e significa credere in un circolo virtuoso di amicizia, solidarietà e di guadagno per tutti. Si chiama, appunto, comunità.

“La crisi in realtà c’era già prima del Covid”, ci dice Nives. Con un quartiere che lentamente si stava snaturando, perdendo molte delle sue botteghe storiche, rimpiazzate da realtà nuove, ma decontestualizzate. Effetto di quella globalizzazione che, qui, ha inevitabilmente avviato un fatale processo di spersonalizzazione. E di conseguenza, di mancati guadagni.

“Napoli non è fatta per sembrare una fredda, anonima metropoli. Napoli ha bisogno dei napoletani e ha bisogno che i napoletani ci credano ancora. Con il Covid siamo arrivati al collasso, ci abbiamo messo un po’ per trovare il coraggio di chiedere aiuto. Quando sei abituato a farcela da solo, a fatica, ma da solo, non è facile. Ci siamo chiesti come avrebbero reagito al nostro appello, il momento è terribile per tutti.”  La reazione, di contro, è diventato un capitolo meraviglioso di questo durissimo momento storico. Nessuno vuole che La Taverna chiuda e così offre quello che può. Non conta la cifra, è il volerlo fare.

“Probabilmente siamo stati premiati per il nostro modo di far vivere la Taverna. Qui i nostri clienti si sono sempre sentiti a casa. E non parlo solo di residenti e napoletani in genere, ma anche di turisti italiani e stranieri, stanno contribuendo in tantissimi.” Potito Izzo, lo chef, ci racconta il suo stato d’animo con gli occhi lucidi. Occhi che raccontano la preoccupazione, ma anche gioia e speranza.

Esattamente come quelli di Nives che è una guerriera dall’animo puro. Una che si impegna in prima persona sul sociale e che nemmeno l’essere “commerciante” è riuscito a condizionare la sua forma mentis. Del resto, basta guardare La Taverna. Un luogo fatto di semplicità e valore al tempo stesso. La naturalezza di una cucina d’ispirazione campana, con il pregio dei prodotti presidio Slow Food, gustati con il lusso del tempo e conditi dalle relazioni di valore. Non è mai stato solo un andare al ristorante. La Taverna significa respirare la stessa aria di due imprenditori che credono di essere parte di qualcosa di molto più grande. L’idea del piccolo orticello personale non li sfiora nemmeno.

“Ti faccio un esempio, se devo prendere le tavagliette di carta per apparecchiare, vado qui nella bottega di quartiere, per me è giusto fare così”, Nives si agita mentre ci dice queste cose, lei che ha basato tutto sul senso del collettivo, su questa romantica economia del vicolo.

E Potito la segue a ruota, “anche per la spesa mi organizzo nel quartiere, poche cose, sempre fresche. Preferisco spendere da chi vive il centro storico come me. E se mi costa un po’ in più, pazienza, è quando risparmi che devi chiederti chi sta pagando la differenza.”

Eretici, folli e santi

Tra una parmigiana di baccalà ed un ragù alla genovese, loro si definiscono così. Eretici perché laici, nel credo, nelle scelte che sono sempre nette, mai equivocanti. Folli a voler resistere in un centro storico che purtroppo sta cadendo a pezzi per l’incuria e la superficialità generale. Santi, per quella punta di orgoglio nel voler fare le cose giuste e per il bene comune. Va ricordato il loro famoso “pasto sospeso” a favore degli indigenti. Non una classica mensa dei poveri, La Taverna a Santa Chiara significa cibo, ma anche convivialità. Significa restituire umanità, non solo calorie. Significa comunità. Un insieme di valori gridati in ogni gesto, in ogni scelta quotidiana, e che oggi si vede restituito il favore. Lunga vita a La Taverna a Santa Chiara.

Info utili

La Taverna a Santa Chiara

Via Santa Chiara 6, Napoli

Tel: 081 0484908

Sito

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