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Omina Romana: un vino tra passato e futuro

Un mio amico enologo un giorno mi disse: “per fare un vino importante serve la passione, le moderne conoscenze tecnologiche e un terreno particolare”.

Tipica frase da film, ho pensato, o da  confessione alcolica estiva, tra una bollicina e un amaro on the rocks finale (per rovinare un buon amaro con il ghiaccio immaginate voi il tasso alcolico della serata…).

Ma la storia che vi vogliamo raccontare oggi mi deve far ricredere. Passione, terroir e tecnologia sono veramente gli ingredienti vincenti per produrre un vino di qualità.

Anton F. Börner è un uomo determinato, un imprenditore tedesco innamorato di una veneziana, sua moglie, e dell’Italia. Fine conoscitore di storia e di archeologia e appassionato di vino, del nostro vino italiano, tanto da decidere alcuni anni fa di rendere reale il suo sogno e iniziare l’avventura di Omina Romana.

Anton sa che la storia è importante. Sa ad esempio che nel Lazio, nella zona dei Castelli e di Velletri in particolare, i popoli latini intorno al 300 A.c. hanno proseguito a produrre il vino portato dai greci alcuni secoli prima.

Anton sa anche che il suolo di queste zone è di origine vulcanica, stratificato, molto eterogeneo, frutto di almeno quattro esplosioni del vulcano laziale avvenute in epoche storiche diverse.

E ancora, Anton conosce molto bene il micro clima di questo territorio: un anfiteatro con il mare a pochissimi chilometri, i monti Lepini a fare da barriera e l’aria fredda proveniente dal Gran Sasso. Sole (ma mai afa), vento ed escursioni termiche… Un mix ideale per produrre grandi vini.

Ma come sempre è la mano dell’uomo a fare la differenza. Anzi, stavolta è la mano di una donna, Paula Pacheco, agronoma e responsabile della gestione tecnica di Omina Romana.

Mentre ci accompagna in vigna, ci raccontata la filosofia dell’azienda, fatta di modernità e alta tecnologia, di strumentazione ad altissimo livello tecnologico, come la centralina meteo, che misura quotidianamente dal 2007 temperatura, umidità, pioggia e con una sorta di “foglia elettronica” i rischi di attacchi fungini. Come l’impianto di irrigazione, utilizzato pochissimo e in maniera scientifica nel momento in cui gli aromi si sviluppano nell’uva e il grappolo necessità di acqua.

È la stessa modernissima tecnologia che ritroviamo in cantina, dove protagonista è il giovane enologo Simone Sarnà, affiancato dal noto consulente enologo Claudio Gori.

Ma oltre alla bellezza dei filari, ai macchinari ultra moderni, alle barrique nuove e utilizzate solo di primo passaggio e all’attenzione per la sostenibilità ambientale (fitodepurazione delle acque, pannelli fotovoltaici, trattamenti moderati), due cose ci hanno colpito particolarmente.

In primis, il sorriso di Anton e di Paula quando ci descrivevano la loro avventura. Un sorriso orgoglioso quello di Anton, fiero, di chi sa che la sfida è enorme ma convinto di poterla vincere. Un sorriso di passione quello di Paula, di chi ama camminare tra i filari e “osservare e mantenere un equilibrio che è quello della natura”.

E poi la scelta del momento della vendemmia, decisa non dalla tecnologia stavolta ma dall’analisi sensoriale dell’uva, attraverso una tecnica nata a Montpellier  e utilizzata fin dall’inizio dall’azienda laziale.

“Mens et Manus”, passione e tecnologia, modernità e ritorno al passato. Questo è Omina Romana.

Box sui vini

Non c’è vino che non ci sia piaciuto. Sono i cd. Vitigni internazionali a fare da padrone: lo Chardonnay, il Merlot, il Cabernet Sauvignon e il Cabernet Franc.

Della linea Omina Romana abbiamo apprezzato lo Chardonnay 2019, solo acciaio: diretto, immediato, con note di frutta esotica e di erbe aromatiche.

La sua versione affinata in legno fa parte della linea top Ars Magna, di cui abbiamo degustato il 2013, il 2015 e il 2017. L’ultimo, benché ancora giovane e fortemente caratterizzato dal suo lungo affinamento in legno è un esplosione di sensazioni olfattive potenti, di burro fuso, di bourbon, con note affumicate, che con il tempo saranno sempre più eleganti.

Dei tanti rossi provati, vorrei ricordarne due: il Cabernet Sauvignon 2016 dalle grande potenzialità e il Cesanese 2017, un mix di esemplarità e originalità: elegante, speziato, inaspettato.

Per saperne di più sui vini, consultate il nostro articolo di approfondimento.

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