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Sostenibilità: Giovanni Solofra e gli affettati vegetali

Cucina inclusiva, sostenibile e fortemente territoriale. Così Giovanni Solofra descrive la proposta gastronomica del suo ristorante Tre Olivi tra erbe spontanee e affettati vegan.

A Giovanni Solofra non piace fare una cucina con gli scarti. “Basta cucinare usando tutte le verdure e nella loro interezza” ci racconta sul palco di Ego Festival a Taranto, il festival dedicato a chef internazionali, ne abbiamo parlato qui.

Si parla della sostenibilità ma bisogna davvero attuarla, anche in cucina” ci racconta. E così da azienda agricola biologica che produce ortaggi a Paestum (in provincia di Salerno), diventa il ristorante che ha conquistato due stelle Michelin quest’anno. In un colpo solo.

Ma certo non è uno chef di primo pelo, ha già lavorato con Ciccio Sultano a Ragusa Ibla e con Heinz Beck a Taormina, e ora ha creato finalmente il suo ristorante nel Cilento, al quale appartiene.

La nuova sfida è stata quella di conoscere il territorio e portarlo in cucina. In questo modo si porta la cultura in tavola.

Qual è il segreto del tuo successo?

“Puntiamo a una cucina inclusiva non esclusiva, e penso che sia questo il segreto per i ristoranti nel futuro. Non puntiamo quindi a essere una realtà prettamente gourmet, non vogliamo essere su un piedistallo ma siamo in cucina anche per fare rete con gli agricoltori e i piccoli coltivatori con cui lavoriamo”.

Qual è il ruolo di tua moglie al ristorante?

Roberta Merolli, detiene le chiavi della cucina del Tre Olivi. Lei è una pasticcera e panificatrice, un ruolo importantissimo nel nostro ristorante. Compagna nella vita come nel lavoro. Al ristorante usiamo solo farine del Monte Frumentario del Cilento, ovvero di piccoli produttori del luogo. Per me è un atto polico mangiare i prodotti del territorio, l’unico modo per portarli a conoscenza di tutto il mondo”.

Coltivi molte delle verdure anche in casa?

“Non rubo certo il lavoro ai contadini, ma dobbiamo lavorare insieme in sinergia per valorizzare il territorio. Abbiamo un orto dove ci divertiamo e coltiviamo una piccola parte della nostra tavola, ma non potremo prescindere da loro”.

Usi molto anche le erbe spontanee?

“Certamente, il discorso delle erbe selvagge come portulaca o acetosella, sono la mia nuova passione. La nuova sfida è stata quella di conoscere il territorio e portarlo in cucina. In questo modo si porta la cultura in tavola. Un esempio? Il gel fatto di latte di fico d’india in modo che conservino anche tutte le proprietà nutritive. Lo trovate nel nostro piatto “bruca” dche servo come inizio del pasto per preparare lo stomaco al menu degustazione”.

Qualche altra nuova scoperta della cucina antica?

“Si può mangiare anche la pala di fico d’India, nel passato abbiamo trovato alcune ricette povere in cui era usata come confettura, oppure usando la iuta, venivano tolte le spine e fritta. Era la cotoletta dei poveri. Un po’ come è stata la cicoria, il caffé dei mendicanti. Eppure ricca di vitamine e antiossidanti”.

E poi sono arrivati anche gli affettati vegetali

“Mi sono accorto che anche con le verdure si possono fare degli splendidi affettati. Tra l’altro è anche un modo per conservarle. Per esempio il peperone essiccato lo usiamo per fare una sorta di coppietta romana vegan, ovvero una salsiccia tipica. O ancora la zucchina diventa una sorta di lardo vegetale, affettata finissima. Il Sedano rapa una mortadella, la zucca per colore e consistenza prende la consistenza del salmone e la serviamo leggermente affumicata. La barbabietola rinasce in una bresaola, cotta come una carne e marinata in vino, ginepro e bacche”.

Ma anche i formaggi?

“Assolutamente. Stiamo studiando un formaggio vegale fatto con nocciole e mandorle, realizzato attraverso l’inoculazione di muffe nobili ma completamente vegetali”.

Quali sono i pregi di questi salumi e formaggi del futuro?

“Diversi: innanzittutto realizziamo tutto senza l’utilizzo dell’energia elettrica, come si usava nel passato, utilizzando tante spezie e spesso senza usare il frigo. Riducendo in primis quindi il consumo elettrico che sta mettendo in ginocchio tanti ristoranti, e quindi anche sprecando meno energia. Inoltre, cosa importantissima, ci permette una lavorazione di pochissime ore e quindi di risparmiare anche del tempo: in massimo uno o due giorni per la zucca, comprendendo anche l’affumicatura, ma anche un solo giorno per la zucchina. Noi diciamo spesso che giochiamo con la tavola ma in realtà è un’opportunità per fare cultura”.

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