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Il Podere Veneri Vecchio, la storia di un vino scandita dal Tempo

podere veneri vecchio

Rispetto per la natura, per le stagioni e per la vigna. Questo è alla base dei vini di Raffaello Annichiarico, patron di Podere Veneri Vecchio in provincia di Benevento.

Da Napoli ci dirigiamo verso il polmone verde di Benevento, attraversando l’acquedotto Carolino e ammirando una magnificenza architettonica irripetibile nel tempo, di fronte a noi le strade della viticoltura della Valle Telesina e gli occhi si perdono tra paesaggi incontaminati e colori disegnati dai filari dei vigneti e dagli uliveti.

Ciò che la vista percepisce è quanto il gusto vorrebbe, questa è la terra dei Sanniti.

Decidiamo di fare tappa a Castelvenere, qui dove il rapporto con la vigna e col vino è così insito, così viscerale che in poco più di 2000 abitanti e di 14 km in tutto di estensione, 11 sono impiantati a vigne. Ben poco spazio, quindi, per poter pensare di fare anche altro, se non il vino. Ed infatti, non a caso, Castelvenere è stato eletto come il paese più vitato di Italia.

Girovaghiamo tra i fitti boschi che circondano il paese, fino a quando, tra un filare ed un altro ritroviamo una piccola stradina di campagna in salita, ripida, che anche una 4×4 arrancherebbe: Via Poderi Veneri Vecchio. Questa volta il navigatore non ci ha tradito.

Ad attenderci un vigneron d’eccellenza: Raffaello Annichiarico

R: Benvenute!

Raffaello ci saluta calorosamente mentre ci fa strada aprendo un piccolo cancelletto di legno. La sensazione è di essere nella Foresta di Mezzo de le Cronache di Narnia: folti alberi e siepi ci indicano la strada, e di fronte a noi la sua dimora, un casolare interamente costruito con pietre di tufo nero. Un focolaio che arde, profumo di caldo e serenità si propaga nell’aria, e accanto a un tavolo di legno iniziamo a scaldare un po’ le corde vocali.

E’ tanta la curiosità di conoscere la storia di quest’uomo e della sua azienda, delle cui gesta e imprese ne avevamo già sentito parlare in giro tra enoteche naturali e fiere di vignaioli indipendenti.

Così Raffaello, partenopeo di nascita, ci racconta che dopo una laurea in scienze agrarie all’ Università di Portici, ha iniziato a lavorare come biologo agroalimentare in un centro di ricerche nel napoletano. Eppure, negli anni, più controllava la qualità di quegli alimenti più saliva in lui inquietudine. Quella smania incontrollabile di cambiare vita, di ritornare alle origini, senza più artifizi.

E allora nel ‘99 la prima visita a Castelvenere dove l’amore diviene incondizionato; a  quel punto, è una scelta quasi naturale, quella di acquistare un vecchio rudere con annesso vigneto, pur di riportarlo agli antichi splendori. Il passo dalla “natura” in laboratorio alla natura in vigna non è mai stato così breve.

R: “La natura ci ha insegnato il gusto vero, ma gran parte di noi ha marinato le lezioni”.

Ecco perché, quando Raffaello è arrivato lì, a Castelvenere, faccia a faccia con la natura, ha gettato via tutti quei protocolli che aveva minuziosamente studiato, e ha deciso di studiare o meglio di seguire solo i protocolli impartiti dalla natura.

Inizia a lavorare insieme al sole, al gelo, alle nuvole e alla pioggia, seguendo le stagioni. Per diversi anni conferisce le sue uve ad altri agricoltori della zona. Poi, finalmente, arriva il suo di tempo, e da qui, in una a piccola cantina semi-interrata, costruita con le stesse pietre prelevate dalla terra dei suoi vigneti, parte l’avventura di Podere Veneri Vecchio.

Le vigne

Dal terrazzo della tenuta gli occhi scannerizzano 360 gradi di biodiversità. Di fronte a noi un ecosistema incontaminato. Il rumore dell’acqua scorre lento sul letto del Seneta, un affluente del fiume Calore, e il bosco di acacie delimita i confini delle vigne. Quanto basta per assicurare la giusta umidità e la protezione dai venti.

La fertilità della donna qui si chiama argilla. La forza dell’uomo calcare. L’alchimia tra questi due esseri si chiama tufo nero.

Una distesa che copre 8 ettari (con una produzione annua di circa 16000 bottiglie), di cui 4 impiantati a vigna e sui quali crescono oggi, grazie alla caparbietà e all’umiltà di Raffaelllo, fertili e rigogliosi gli uvaggi autoctoni del territorio: Agostinella, grieco, Cerretto, Barbera del Sannio, sciascinoso.

Per dare giusto un’idea immaginate il cerretto come ad una malvasia di Candia e un grieco come ad un trebbiano. E non confondete la Barbera del Sannio con la più nota barbera del Piemonte. Mentre l’agostinella vive di identità propria, un’autoctona che non ha paragoni nel resto dell’Italia.

Iniziamo a chiacchierare passeggiando tra le viti, tra filari misti, dove il Grieco fa da compagnia al Cerreto, e alcune vigne, poi, addirittura sono ancora allevate con sistemi a tendone, una forma di allevamento ormai quasi soppiantata negli ultimi decenni dal più diffuso sistema a guyot. Pare di essere tornati indietro nel tempo. Si respira aria pura.

I trattamenti naturali

Le nostre scarpe, sono quasi nascoste dall’erba che cresce tra i filari, e che raramente viene trinciata, se non in primavera, a diventar in ogni caso pacciamatura per le vigne.

Il ripristino della fertilità di questi suoli è strettamente correlato col rispetto che Raffaello ha dell’ecosistema circostante ecco perché ha bandito l’utilizzo di qualsiasi fertilizzante, che avrebbe in ogni caso alterato l’identità propria delle sue vigne.

podere veneri vecchio

Ma la sua “smania” di proteggere Madre Natura e non di “ricostruirla” è andata ben oltre. Sentiamo spesso parlare di trattamenti non invasivi a base di rame e zolfo quando si parla di vini naturali, bhe queste vigne non sanno neppure di cosa stiamo parlano.  Raffaello utilizza solo infusi a base di erbe preparati direttamente da lui. Il nostro vigneron è anche un erbolaio, raccoglie equiseto, bambù, ortica poi li macera e infine li fermenta. Questo è il suo modo per proteggere e fortificare le sue “bambine”, stimolando così le loro difese immunitarie.

E ricordate poi l’antico rimedio della nonna contro raffreddore e mal di gola? La propoli grezza. No non è una campagna pubblicitaria e se lo fosse sarebbe degli anni 80. Eppure la propoli, che è una sostanza resinosa raccolta dalle api, ad un tempo era forse l’unico coadiuvante utilizzato per i nostri sintomi influenzali. Oggi, Raffello la utilizza per rinforzare e tutelare le sue vigne.  E ovviamente è a filiera corta, sono arnie di agricoltori sempre lì in zona.

Ecco, nulla più. Se dicessimo altro saremo più prolissi di quanto lui stesso tratta la vigna. Preservare e non trattare, questa è la parola d’ordine per Podere Veneri Vecchio.

La cantina

Tra una chiacchiera ed un’altra, a sentir parlare di vita e vigna, arriviamo nella piccola cantina di tufo grigio, qui dove tutto è iniziato.

Oggi la cantina è destinata alla sola fermentazione e macerazione, mentre una più parte più moderna, adiacente alle vigne è stata realizzata, negli anni successivi, per l’affinamento.

Gli occhi sono subito attratti da un torchio di legno. Raffaello, infatti, non utilizza alcuna pressatura meccanica. I grappoli vengono rigorosamente raccolti a mano, poi diraspatati e infine pigiati. Il ritorno all’ancestrale.

Le fermentazioni sono spontanee con i soli lieviti indigeni presenti sulle bucce dell’uva, ma in realtà a guardarsi bene intorno anche l’ambiente circostante è una colonia di muffe e inflorescenze che negli anni hanno “colorato” le mura di tufo, e che contribuiscono a mantenere in equilibrio l’ecosistema della vigna  anche qui in cantina.

R: “I lieviti naturali sono un po’ il ponte tra quello che succede nella tua vigna e nel tuo vino, e in questa cantina non entrano lieviti selezionati”

Se dovessimo riassumere in un solo aggettivo la filosofia di Podere sarebbe: macerazione (sulle bucce). Il contatto prolungato del mosto con le bucce e i vinaccioli, infatti, consente di estrarre tutte quelle sostanze che nel nostro calice ci garantiranno colore a volte atipici, ma aromi e strutture dotate di una loro personalissima identità, ineguagliabile tra un vino ed un altro.

La mano umana interviene solo con le necessarie pratiche di cantina di follature e rimontaggi, al fine di favorire la rottura del cappello, cioè delle vinacce, e consentire che tutto il mosto possa beneficiare delle sostanze che queste rilasceranno.

Siamo così curiosi di andare all’assaggio che ci dirigiamo, subito, nella parte più moderna della cantina, destinata all’affinamento, così da provare direttamente in botte le nuove annate.

L’azienda utilizza solo botti realizzati con legni del territorio, dell’Alta Irpinia (il bottaio è Antonio Cione): acacia, castagno e ciliegio. Autoctono in tutto questo vigneron.  In genere i vini riposano qui per almeno un anno e poi un breve affinamento, di circa 3 mesi, in bottiglia, prima di essere messi in commercio.

E prima dell’imbottigliamento? Ovviamente nessuna filtrazione ne chiarifica.

Questa cantina ha il profumo di un tempo dimenticato ed il sapore di un gusto antico.

La degustazione

Mentre rientriamo in casa, col il cammino ad attenderci, la tavola si imbandisce di formaggi di pecora e di capra fatti dai pastori della zona e di salami prodotti da un contadino di Cusano Mutri. Il tutto accompagnato da una panificazione diretta di Castelvenere.

Quello che Raffaello ha ripetuto più volte durante queste prime ore insieme è il rispetto del tempo naturale. E allora ecco che i nomi dei suoi vini rappresentano l’esatto manifesto di “return to the past”, come monito per “un futuro migliore”.

R: “L’agricoltura ha i suoi tempi e noi questi tempi non li abbiamo più voluti ascoltare”.

A questo punto ci sembra doveroso abbandonare i nostri orologi e lasciarci andare nella degustazione senza più lo scorrere del tempo.

Bella Ciao Agostinella 2017 I.G.T. Beneventano 100% Agostinella

L’etichetta è disegnata da Giulia, sua figlia, ed è una bellissima espressione di libertà di parola, che provengono dallo stomaco di un uomo sdraiato.

Amore, ricordo, tempo, razionalità …. queste alcune delle sensazioni che ritroviamo scritte non solo in etichetta, ma che viviamo noi stessi già al primo sorso.

Prendiamo il nostro calice, quasi in religioso silenzio. Raffaello non ci anticipa nulla.

Il naso rimanda a profumi di erba tagliata, di agrumi citrini, mentre  in bocca il sorso diventa quasi cibo, per quanto è forte la sensazione di masticazione anziché di deglutizione.  C’e tutta la forza di quella acidità dei profumi annusati, ma poi arriva una leggera carezza, una morbidezza di aromi di affumicatura e torba.

Non ci sono mezzi termini per questo vino: o ti piace o nisba..

Non lo diciamo noi, ma lo stesso Raffaello. Basta leggere il retro della sua etichetta per capire: “Resistere significa alzare la testa, alzare lo sguardo. Se bevi vini realizzati solo con la terra fertile, fermati, ascoltali, rallenta il passo; solo così ti si concederanno con tutta la loro forza, con tutte le loro debolezze; in caso contrario lasciali… a chi è in grado di condividerli.”

Bianco Tempo 2018 I.G.T. Beneventano Falanghina -grieco – cerreto

Poche parole, Bianco tempo ha il profumo di “vino contadino” se la semplicità di un odore in qualche modo può trovare immaginazione. Lasciamo favorire un po’ di necessaria ossigenazione e al naso ritroviamo agrumi e fiori gialli. Il palato è sostenuto da una leggera trama tannica e da un piacevolissimo finale salino, ma quel che è certo è che ad ogni sorso sembra di bere un vino diverso, è un’evoluzione continua grazie alla notevole aromaticità.

Il tempo ritrovato 2018 I.G.T. Beneventano 50% Grieco – 50% cerreto

Il Tempo Ritrovato è un blend di Grieco e Cerretto, provenienti da una sola vigna mista.

Qui ci spingiamo un bel po’ con 25 giorni di macerazione sulle bucce,  un giallo al calice ancora più carico. E’ un orange wine, ma un orange wine genuino  e semplice

Dopo poche roteazioni del calice quella leggera volatile sparisce, così fuoriescono odori di frutta bianca di  pesca e cedro, e anche di albicocca, poi  il naso viene stuzzicato da una nota sulfurea, dallo zafferano dai ricordi di una passeggiata in un campo selvatico.

Bocca sapida e minerale, proprio come si addice ad un vino di carattere.

Perdersi e ritrovarsi Aglianico 70%, Piedirosso 30%

Un Color granato quasi consistente. Qui il merito va ad una macerazione che si spinge anche fino a 40 giorni, un tempo durante il quale i tannini e gli antiossidanti conferiscono al vino colore e struttura.

Al primo olfatto subito si riconosce la mano di Raffaello, cioè nessuna mano, o meglio manipolazione.

E’ un vino diretto nei profumi, nonostante la giovane età non colpisce subito la frutta, ma panzi revalgono prugne candite e soprattutto note eteree, di goudron, di sandalo e di tartufo.

In bocca c’è un perfetto equilibrio tra alcolicità e acidità e si presenta  abbastanza strutturato, quindi vi consigliamo di accompagnarlo a piatti ricchi e sostanziosi.

Se è già cosi ora, sarebbe davvero interessante provare qualche vecchia annata, per capirne le evoluzioni.

Ci si perde e ci si ritrova in ogni sorso di questo vino.

Sono passate ore, e fiumi di parole, e tempo dopo tempo, Raffaello ci ha insegnato il valore della non convenzionalità in un vino, e il rispetto della terra., ritrovando molta più concretezza nella semplicità di quello che la natura da sola sa regalarci senza l’artifizio umano.

Info Utili

PODERE VENERI VECCHIO

di Raffaello Annicchiarico

Via Veneri Vecchio, 1

Castelvenere (BN)

Telefono: 340 5869048

Email: venerivecchio@libero.it  

Sito Web

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