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Pink revolution, la riscossa dei rosati (naturali) fatti come si deve

vini rosati

A lungo ingiustamente snobbati e vilipesi ora i vini rosati sono tornati di moda. Ma in un mare magnum di etichette non è facile riconoscere i rosati di qualità. Ve ne suggeriamo 7, tutti naturali, per una settimana ideale di assaggi in rosa.

La stragrande maggioranza dei consumatori li ha sempre guardati con sufficienza. A lungo sono stati sottovalutati per via della loro indole di vini freschi e beverini, profumati e dall’approccio “easy”. In molti li hanno sempre considerati vini né carne né pesce quando non addirittura “vinelli da signorine” perché un inspiegabile machismo enologico imperante imponeva una scelta dicotomica tra rosso e bianco. Soltanto in alcuni casi la secolare tradizione contadina di alcune realtà geografiche del nostro Paese (Abruzzo, Garda, Salento) ha consentito ai rosati di mantenere una loro dignità, nonostante il tentativo di gran parte dell’industria enologica di renderli vini macchietta, etichette di ricaduta buone da consumarsi solo in estate e tali da generare il sospetto che si trattasse di bevande colorate lontane anni luce dal vino. I rosati, quelli veri sono altra cosa. Quando sono realizzati con cognizione, a partire dalla selezione dei vitigni da cui sono prodotti, dalla corretta conduzione del vigneto, per arrivare alla vendemmia delle uve ad essi dedicati e alle scelte di vinificazione, i rosati hanno un’espressività e una profondità gustativa senza pari.

Nel tentativo di emancipare la categoria dei rosati, quasi fosse una missione affidatami da chissà chi, per qualche anno, ho martoriato i lettori del mio personale blog con le mie pinkwinelist. Fedele a questa missione ho sempre sostenuto che il cattivo della fiaba dei rosati, il marketing enologico, che li aveva relegati in un cantuccio, avrebbe prima o poi concesso loro le luci della ribalta.

Negli ultimi anni in Italia sono tornati di moda, ma come spesso accade le mode generano un aumento esponenziale dell’offerta e quasi mai questo corrisponde ad un aumento della qualità. È necessario dunque riuscire a districarsi tra migliaia di etichette e decine di migliaia di ettolitri di liquidi dalle più svariate tonalità del rosa. Come fare a riconoscere un rosato buono? Certamente la provenienza territoriale da alcuni distretti geografici che vantano una grande tradizione di produzione di vini rosati può aiutare, ma non basta, perché esistono grandi rosati che provengono da zone diverse dall’Abruzzo, dal Salento o dalle coste del Lago di Garda.

Poche piacionerie artificiose, tanta piacevolezza (che è una cosa diversa) e bevibilità, magistrale interpretazione del territorio e grande versatilità gastronomica. Questo è e deve essere il paradigma del rosato, concepito per essere un vino vero e non una bibita al profumo (artatamente ricostruito in laboratorio) di rosa e lampone, di quelle che purtroppo continuano a infestare da un paio di decenni gli scaffali della Gdo e di diverse enoteche e che hanno contribuito a rovinare il buon nome della tipologia.

Nonostante tutto questo, di rosati buoni ce ne sono. E fortunatamente non sono pochi.

Visto che, come saggiamente scriveva il poeta e saggista statunitense James Russell Lowell, “solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione” vi suggerisco, nel caso in cui facciate parte della categoria di chi ha un pessimo rapporto con i rosati di provare a cambiare idea su questi vini. Come? Affrontando senza pregiudizi l’assaggio di quelli che vi propongo qui di seguito. Ne ho messi in fila soltanto sette, tutti fermi e nessuna bollicina. Non è una classifica, ma solo una piccola selezione di etichette di vini naturali di grandissima qualità per una ideale settimana di assaggi in rosa.

Cloè – Abbazia San Giorgio

 Un rosa corallo luminoso, con una leggera velatura che intrappola luce e vento nel calice. Questo il biglietto da visita visivo di un rosato ottenuto da vigne vecchie di Nerello Mascalese a Pantelleria. Fermenta spontaneamente in acciaio, non è filtrato, non ha un solo milligrammo di solforosa aggiunta, affina per 6 mesi in parte in acciaio e in parte in vecchie botti grandi di castagno. Naso intenso e suadente di ciliegia matura e rosa tea, che col tempo rivela la sua anima pantesca con accenni salmastri, quasi iodati, e lievi note di cappero e arancia rossa. Ogni sorso è un golosissimo trionfo di ciliegia matura e arancia sanguinella, fresco e sapido con un finale balsamico e salino che racconta del sole e del vento di Pantelleria.

Cirò Rosato Doc  – Tenuta del Conte

Le uve di gaglioppo utilizzate per realizzare questo splendido esemplare di territorialità calabrese sono allevate nel pieno rispetto della natura, secondo i dettami di un’antica sapienza contadina, selezionate e raccolte a mano, come vuole la metodologia tradizionale di un tempo, pigiate e fatte fermentare spontaneamente, senza l’utilizzo di lieviti selezionati e senza il ricorso a correttivi enologici e prodotti di sintesi in cantina né pratiche invasive. Nel calice questo rosato dall’anima ionica si presenta di un luminoso rosa corallo con riflessi ramati. Al naso è intenso e suadente di lavanda, ciliegia e melograno per poi aprirsi a cenni di erbe officinali e ricordi aciduli di ribes innestate su uno sfondo salmastro, quasi iodato. Con il tempo l’olfatto evolve fino a regalare lievissime e delicate note di borragine in fiore, scorza di mandarino e note rugginose. L’ingresso in bocca è inizialmente lieve, come i primi raggi mattutini che filtrano dalle imposte socchiuse prima del lampo accecante di un esplosione di luce e materia: melograno, mandarino e uva matura fanno da ouverture al trionfo della salivazione prima che il tannino faccia la sua parte in un gioco dall’equilibrio perfetto in cui si avverte chiara e profonda una vena sapida dalla doppia anima (di mare e di terra) evidenziata da una scia ferrosa, quasi ematica, che chiude con ricordi di sale e pompelmo rosa che invitano ad un nuovo sorso.

299 – Forti del Vento

Il 299 è un rosato artigianale da uve Dolcetto in purezza che deve il suo nome all’altitudine in cui sono coltivate le viti, di 30 anni di età media, e ai litri di capienza delle anfore dove il vino fermenta spontaneamente e affina per alcuni mesi. La cantina è una piccola realtà proprietaria di circa 5 ettari a conduzione biologica, e che segue i principi dell’agricoltura biodinamica. Il 299 si presenta alla vista di un colore rosa tendente al lampone. Al naso compaiono intensi aromi di frutti bosco, tra cui il lampone e la mora, note agrumate di pompelmo rosa e di melograno, sentori floreali di fiori rossi che ricordano la rosa e la viola. In bocca è scorrevole, succoso e di buona struttura, caratterizzato da una grande freschezza e da una gradevole persistenza fruttata. Questo di Forti del Vento è un rosato molto beverino ed immediato, artigianale e molto espressivo.

Susucaru  – Frank Cornelissen

Questo vino nasce tra le pietre laviche sulle pendici dell’Etna da una selezione di vecchie viti cresciute quasi tutte ad alberello e a piede franco, che sono riuscite a resistere all’attacco della filossera. Al Susucaru contribuiscono con percentuale variabile uve di Malvasia, Moscato Nero, Nerello Mascalese e Catarratto provenienti dalle contrade di Picciolo, Pietramarina, Calderara soprana, Crasà, Muganazze. I vigneti, esposti sul versante Nord del vulcano, sono coltivati a diverse altitudini su terreni che non subiscono nessun trattamento chimico, ma sono lasciati crescere nella natura selvaggia del luogo. La vinificazione avviene tramite fermentazione spontanea in vasche di vetroresina per alcuni mesi, prima che il vino finisca in bottiglia senza filtrazioni. Nel calice appare di uno splendido rosa cerasuolo brillante con una lievissima opalescenza. Naso intenso e suadente di ricordi di ciliegia, mora di rovo e melograno, cui seguono richiami floreali di ibisco e rosa e note vegetali innestate su uno sfondo minerale di pietra lavica. In bocca si presenta con una lievissima piccantezza e un tannino sottilissimo ed elegante. Fresco, succoso e con una vena sapida e profonda, il Susucaru riesce ad essere al contempo elegante e rustico e rappresenta lo specchio diretto del territorio dove è nato.

Tauma  – Pettinella

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Rosato da Montepulciano, ottenuto attraverso la vinificazione in bianco di uve allevate in regime biologico certificato al confine tra la provincia di Teramo e quella di Pescara. Sebbene i vigneti siano entrambi in zone che rientrano nella Doc e le rese vendemmiali siano inferiori a quelle richieste dalla normativa di riferimento, il Tauma viene commercializzato come “vino rosato” e non come cerasuolo. Fermentazione spontanea con soli lieviti indigeni, niente additivi. Non è filtrato né chiarificato. Affina 6 mesi in legno usato e 1 mese in acciaio, prima di finire in bottiglia e solo in questa fase entra in contatto con quantitativi minimi di solforosa. Nel calice appare di un bellissimo cerasuolo brillante. Naso è ammaliante per intensità e complessità, fruttato e floreale, ricordi di rosa tea e marasca anticipano note di lampone e fiori di ibisco, ricordi ematici e accenni di pepe rosa e lavanda chiudono il cerchio. In bocca è fresco e molto sapido, con una beva scorrevole connotata da piacevoli ritorni di marasca e lampone, un grande equilibrio sensoriale e lunghissima persistenza.

Volpe Rosa – Cantina Giardino

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Nel cuore dell’Irpinia, accanto alle vigne di Aglianico, è sempre stata tradizione piantare dei filari di un antico e raro vitigno autoctono campano: la Coda di Volpe Rossa. Da queste uve, provenienti da vigne gestite in regime di agricoltura biologica, con utilizzo solo di zolfo e rame, in un ambiente naturale ricco di biodiversità, Cantina Giardino ottiene un rosato frutto di fermentazione spontanea con utilizzo solo di lieviti indigeni e con una macerazione sulle bucce di due giorni, per estrarre colore e aromi. Il vino riposa per 12 mesi in botti di castagno usate e viene imbottigliato senza filtrazioni o chiarifiche. Nel calice si presenta con una bella veste di colore rosa intenso, con riflessi ramati. Naso ricchissimo di cenni floreali e erbacei che ricordano la viola, la rosa appassita, la lavanda, il timo, la salvia, note di miele e di piccoli frutti di bosco. In bocca il Volpe Rosa è agile e vibrante, caratterizzato da una freschezza viva e da un bel frutto che rendono il sorso ricco ed espressivo, a tratti rustico e corroborante, con un finale piacevolmente sapido.

Alea Rosa – Andrea Occhipinti

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Ottenuto da uve Aleatico in purezza, allevate nel più completo rispetto della natura in quel di Gradoli, su terreni di matrice vulcanica sul versante nord-occidentale del Lago di Bolsena. Dopo la vendemmia manuale, la vinificazione è effettuata tramite fermentazione spontanea con i soli lieviti indigeni in piccole vasche di cemento, con macerazione sulle bucce per una notte e senza l’utilizzo di additivi chimici e coadiuvanti enologici, ad eccezione di una modesta quantità di solfiti in fase di imbottigliamento. Affina per 6 mesi in vasche di acciaio/cemento e almeno 2 mesi in bottiglia. Si presenta nel calice di un bel rosa cerasuolo, al naso esprime note fruttate e vegetali di rosa canina, ciliegia, fragola, uva appena premuta e cenni minerali. Il sorso è dinamico e croccante, avvolgente nei toni fruttati e floreali dell’aleatico, sorretto da una freschezza vibrante e da una spiccata sapidità di matrice vulcanica. 

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