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Chef

A Torino la cucina Nikkei raccontata dallo chef Alexander Robles

Dalla contaminazione tra rigore, tecnica, estetica e ingredienti delle cucine di Giappone e Perù nasce Azotea. Noi abbiamo intervistato lo chef Alexander Robles per farci raccontare la sua proposta Nikkei.

Nei pressi di Piazza Vittorio Veneto a Torino ha trovato dimora un piccolo ed elegante ristorante, Azotea, che propone la cucina Nikkei, in cui la tradizione gastronomica peruviana incontra quella giapponese.

Da Azotea però non solo si mangia di qualità e anche i drinks hanno la loro importanza: qui mixology e cucina vengono sapientemente combinati dal bar manager Matteo Fornaro, il quale ha fatto conquistare recentemente il premio speciale Acqua Panna Miglior Proposta di Bere Miscelato della Guida Ristoranti d’Italia 2024 Gambero Rosso.

Il ristorante di cucina Nikkei propone, oltre il menù alla carta, due percorsi di degustazione: il primo, il Tahua – termine che in quechua indica il numero quattro, come le principali influenze gastronomiche della cucina peruviana (novoandina, chifa, nikkei e criolla) – comprende sei corse applicate a tutto il tavolo e il cui prezzo è di 65 euro.

Insieme al menù degustazione Tahua si può abbinare il sips pairing del bar manager Matteo Fornaro ordinabile al prezzo di 40 euro.

Il secondo menù di degustazione è Qampaq, che in lingua quechua significa per te e consiste in tre portate a scelta libera dalle sezioni Tapas, Antipasti/Primi piatti, Secondi e da tre Sips pensati in abbinamento.

Il percorso viene applicato a tutto il tavolo, in modo personalizzabile per ogni ospite e il prezzo finale è il risultato della somma delle singole portate scelte dalla carta, a cui va aggiunto il prezzo di 24 euro del Sips Pairing.

Raccontaci di te, da quando hai iniziato fino all’esperienza all’interno del Ristorante Azotea

«Io sono cresciuto in cucina: i miei nonni in Perù avevano due ristoranti e io davo loro una mano fino ai miei 15/16 anni iniziando come cameriere. A me però piaceva molto avere a che fare con la materia prima; quindi, mi hanno dato la responsabilità degli acquisti al mercato locale e da qui è partito il mio amore anche per la loro lavorazione, ma i miei nonni in cucina non mi hanno mai lasciato entrare perché loro non volevano che io diventassi un cuoco. Iniziai l’università, in particolare giurisprudenza, ma non era la mia strada; quindi, di nascosto ho iniziato a frequentare gastronomia e in parallelo continuavo i miei studi giuridici.

Dopo la laurea in gastronomia ho abbandonato il corso di laurea in giurisprudenza e, dopo l’esperienza da Gastrón Acurio, sono partito. Dopo una breve esperienza in Messico decisi di andare in Europa, più precisamente in Italia: qui iniziai a frequentare l’istituto alberghiero a Carignano e ho avuto diverse esperienze lavorative tra cui il ristorante Del Cambio e Villa Tiboldi nelle Langhe.

La mia prima esperienza da chef è stata in Arabia Saudita in un ristorante che proponeva Fine Dining italiano riconosciuto dall’Ambasciata Italiana, ma dopo tre anni e mezzo ho deciso di tornare in Italia e sempre a Torino, che adoro ed è come una calamita per me. Ho lavorato al Carlina Restaurant & Bar, dove ho creato il menù Oltre Hotel basato sui miei viaggi per onorare tutte le mie esperienze lavorative in giro per il mondo.

Al Carlina sono rimasto per cinque anni e mezzo, poi arriva il Covid e avevo deciso di andare in Germania, dove avevo già trovato un lavoro. Poi casualità una sera sono passato in via Maria Vittoria, vedo l’insegna Azotea cucina Nikkei e mi sono incuriosito!»

Azotea
Qual è la tua opinione sulla ristorazione in hotel?

«La ristorazione in hotel mi ha fatto crescere a livello gestionale e logistico poiché mi occupavo anche delle colazioni e dei catering per gli eventi, oltre il gestire una brigata di undici persone».

Che cos’è per te la cucina Nikkei?

«Per me la cucina Nikkei è una contaminazione perfetta tra il rigore, la tecnica, l’estetica e soprattutto il Perù, in quanto a materie prime, sa il fatto suo. Inizialmente i giapponesi emigrati non avevano i loro ingredienti, quindi hanno iniziato ad adattare le loro ricette a ciò che avevano a portata di mano, ovvero i prodotti peruviani. Da lì è partito il binomio perfetto tra i due Paesi e non si tratta solo di sushi, ma è molto di più. Significa prendere ad esempio la patata Yukon, autoctona peruviana e lavorarla mediante una tecnica giapponese, oppure prendere un Pak Choy e usarlo per una ricetta peruviana: questo vuol dire contaminazione».

Parlando di materie prime, come avviene la loro scelta?

«Il mio punto di riferimento è il mercato di Porta Palazzo, anche per i prodotti asiatici che per i prodotti peruviani. Ho un fornitore che direttamente dal Perù ce la spedisce direttamente ad Azotea, tutto ovviamente conforme alle normative vigenti di tracciabilità, HCCP e soprattutto seguiamo anche la stagionalità anche in Perù.

Molto spesso, per quanto riguarda i prodotti cinesi, mi rifornisco dai contadini che sono qui in Piemonte magari da trent’anni e hanno i campi di Pak Choy o di altre tipologie di cavoli, oppure lo shiso, quindi diciamo che sono a km 0».

Qual è il processo creativo nell’ideazione dei piatti?

«Prima di creare un menù penso al tema, in questo caso ad esempio ho pensato alle quattro influenze gastronomiche della cucina peruviana e poi subito dopo vado a Porta Palazzo. A seconda di quello che trovo sui banchi scelgo gli ingredienti, pensando anche alla durata del menù che solitamente è di 2-3 mesi. Alcune volte riprendo ricette tradizionali per rivisitarle oppure stravolgerle del tutto, che è quello che mi piace di più fare. Prima di questo menù (il Tahua ndr), c’è stato quello inerente al Presidio Slow Food, quindi ogni piatto si trovavano ingredienti con il Presidio Slow Food, poi c’era un menù dedicato esclusivamente all’Amazzonia con ingredienti interamente della zona. Noi vogliamo portare sempre un messaggio nella nostra proposta gastronomica».

In ultimo, siete recentemente entrati nella Guida Michelin!

«È una grande soddisfazione! Siamo tutti davvero contenti ed è veramente gratificante entrare in Guida, ma non è mai stato un mio vero obiettivo perché per me è importante che i miei clienti mangino bene ed escano da qui soddisfatti. Miro a fare bene, ad avere una continuità e a rinnovarmi sempre sui menù, sulle materie prime: 80 piatti nuovi in due anni significa avere già uno storico e riuscire a crearne altri è sempre più difficile. La mia sfida è dunque prendere la materia prima, ricercare, sperimentare e soddisfare il palato dei clienti».

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