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Tra struffoli e roccocò, il Natale a Napoli profuma più che mai

I dolci del Natale a Napoli sono una questione di devozione. Pezzi di storia che non possono mancare, come i pastori nel presepe. Pena, il malaugurio.

Sarà un Natale diverso. Distanziamento e mascherine detteranno nuove dinamiche all’insegna della sobrietà, ma non impediranno ai napoletani di imbandire la tavola del periodo più emozionante dell’anno. Nella sottrazione scientifica di baci, abbracci e presenze che contano, quel che resta dovrà compensare il tanto che manca. Sarà un Natale diverso, ma sarà comunque Natale. A Napoli è una questione di devozione, pezzi di storia che non possono mancare come pastori in un presepe. Pena, il malaugurio.

I dolci del Natale a Napoli vanno oltre il panettone, anzi, lo precedono. Semplicità e abbondanza. Antichissime ricette elaborate nei conventi che, ogni anno, con la resistenza delle pasticcerie storiche, tornano a colorare le vetrine della città. Strappandoci un sorriso sotto la mascherina.

Roccocò

Mandorle, farina, zucchero e, soprattutto, ‘pisto’ napoletano. Un misto di spezie che già da solo vale il respiro del Natale. Sono brutti, duri da spezzare, con una bella storia tra il sacro e il profano, era più o meno il 1300. Sancha d’Aragona, moglie di Roberto d’Angiò, fondò il Convento della Maddalena per accogliere e redimere prostitute. Pochi anni dopo, la struttura contava già trecentocinquanta monache. Il resto è nella storia del regno di Napoli e con le sue mille contaminazioni, in questo caso francesi. Tra le mura di quel convento nacquero i Roccocò, dal francese ‘roccaille’. Un po’ per la forma barocca, un po’ per la consistenza rocciosa. Brutti, ma deliziosi. Non è semplice prepararli, sorvegliarne la cottura, dosarne le spezie. Antica Pasticceria Carraturo li prepara a regola d’arte. Per acquistarli, la passeggiata classica attraversa il lungomare di Mergellina, passando per l’animata Piazza di Porta Capuana. E tra mito e verità, si dice che “Napoli tre cose tene ‘e belle: ’o sole,’o mare e ’a sfugliatella”. Ma questo è il tempo dei roccocò, consigliabile inzupparli nel vino dolce, magari a fine pasto.

Mustacciuoli

Biscotti morbidi, impastati con il miele e ricoperti di cioccolato. Va tirato in ballo il Sacro Romano Impero. Dal latino ‘mustaceum’, fece la sua apparizione questa sorta di focaccia dolce, preparata con quel mosto che le conferì il nome. Servita su foglie di lauro, per salutare gli ospiti che si congedavano dopo il pasto. Ne parla Catone nel suo ‘De Agricoltura’. Dalla focaccia, si arriva a dei dolcetti più piccoli, arricchiti con cioccolato e miele. Si conservano a lungo, sicuramente sono più buoni con qualche giorno di riposo. Tra le varianti regionali, quelli di Benevento e dell’intero Sannio prevedono dimensioni più piccole, pasta più morbida, leggermente lievitata e profumata di liquore Strega. Per acquistarli, il navigatore punta verso La Sfogliatella Mary, all’interno della Galleria Umberto. Un piccolo chiosco con una vetrina che acceca. Qui il motto è “meglio farsi buoni che belli”.

Sapienze e Susamielli

Preparati già nel 1600 dalle suore clarisse del Convento di Santa Maria della Sapienza. Sono dolci natalizi a forma di ‘S’. Immancabili sulle tavole partenopee durate il periodo delle feste. L’origine resta velata dal mistero. È la ‘S’ di Luigi Settembrini, scrittore e patriota napoletano vissuto nella prima metà dell’Ottocento? Oppure è una derivazione dei dolci a base di sesamo e miele preparati addirittura dagli antichi greci? I ‘sesamon’. Oggi la tradizione li pretende profumati di agrumi, pisto e pasta di mandorle. Parenti stretti dei Susamielli, i cugini poveri che non hanno le mandorle a decorarne la superficie. Come gli altri dolci del Natale, si mangiano a partire dall’8 dicembre e per tutto il periodo delle festività. Bagnati nel vino dolce. Per acquistarli, c’è la Pasticceria Capparelli, in pieno centro storico. Doveroso ricordarlo, viene identificato come il regno del Babà. 

Divino Amore

Sono dolcetti ovali, la base è fatta di mandorle, zucchero, uova, canditi misti e confettura di albicocche. Vengono glassati con una ghiaccia reale di colore rosa e, ancora una volta, parliamo di una ricetta ‘sacra’. Attribuita alle monache dell’omonimo convento a Spaccanapoli, nelle vicinanze di San Biagio dei Librai, nel cuore di Napoli. Nel XIII secolo, pare costituissero un omaggio delle religiose a Beatrice di Provenza, madre di Carlo II d’Angiò. Oggi quel convento non esiste più, ma la tradizione resta. E proprio lì dove tutto ebbe inizio, c’è Scaturchio, sede storica in Piazza San Domenico Maggiore. Dolci di Natale a parte, preparano una Pastiera che ha ben pochi rivali.

Struffoli

Per chiudere in bellezza, riflettori puntati sui vassoi ricolmi di palline di simil pasta frolla (c’è lo strutto al posto del burro). Si frigge e si ricopre di miele. Gli struffoli appunto, uno tira l’altro. La decorazione finale prevede pezzetti di cedro e altra frutta candita, spesso anche i cosiddetti ‘diavulilli’, diavoletti, sono dei confettini colorati. Molto quotata l’origine spagnola di questo dolce, il riferimento più plausibile è il ‘piñonate’, palline che hanno però una forma più allungata. Parentela giustificabile con il lungo periodo di vicereame spagnolo a Napoli. Una città densa di contaminazioni, un vero melting pot regale. Prima di prendere il treno, proprio vicino alla Stazione Centrale, Antico Forno F.lli Attanasio frigge struffoli in quantità industriali. Per i golosi, tappa imperdibile per più d’un motivo.

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